Quattro cortometraggi sui diritti umani
Martedì 14 marzo alle 18:00, a Livorno, presso il Centro artistico Il Grattacielo, su iniziativa di Amnesty International e della Biblioteca Franco Serantini di Pisa, sono stati proiettati quattro cortometraggi sui diritti umani selezionati al concorso internazionale di Amnesty International “Short on Rights – A corto di diritti”. Di fronte a un numeroso pubblico, nella sala buia si sono materializzate immagini di forte impatto emotivo, talvolta crude e documentaristiche, altre volte edulcorate e poetiche. Al centro dei quattro lungometraggi vi sono i diritti umani violati, anche e soprattutto di coloro che vengono considerati come ‘minoranze’ dalla maggioranza che detiene il potere, siano esse rappresentate dai migranti, dalle donne, dalle minoranze etniche o dagli oppositori di una dittatura.
Il primo cortometraggio è un documentario, Near our border (Germania, 2021) di Martina Troxler, incentrato sulla violenza cui vengono sottoposti i migranti al confine bosniaco-croato. Il racconto è affidato a un agricoltore che vive proprio sul confine e che, di fronte alla macchina da presa, riferisce di come vengono trattati i migranti dalla polizia di frontiera croata. Sottoposti a torture, costretti a rimanere in campi profughi di fortuna allestiti in terre di nessuno, i migranti vengono trattati alla stregua di animali selvaggi, come dei lupi che assaltano le dimore ‘stanziali’ degli europei; non si deve dimenticare, infatti, che il lupo, nel corso dei secoli, è stato sempre associato all’esilio, al nomadismo e alle migrazioni (cfr. Peter Arnds, Wolves at the door. Migration, Dehumanization, Rewilding the World, Bloomsbury, New York, 2021, pp. 1-23). Vediamo freddi boschi e inospitali foreste, accampamenti improvvisati, case isolate dove i migranti vengono picchiati e sentiamo il commento di una dottoressa di una ONG che cura i feriti illegalmente perché, essendo migranti controllati dalla polizia di frontiera, non hanno nemmeno il diritto di essere curati. Questo confine è uno di quei luoghi in cui la tanto decantata Unione Europea va in pezzi, si accartoccia su sé stessa come un castello di carte mal costruito. È quella stessa Unione Europea di cui la premier italiana si affanna a “difendere i confini” ma in quegli stessi confini, la vita umana sembra proprio non valere niente. Sono i suoi stessi custodi a trasformarsi in assassini e torturatori. Da ciò si capisce che la UE è soltanto una fortezza economica, costruita da e per il Capitale, un macchinario abulico e meccanicamente perfetto che non esita a eliminare, con la stessa cieca violenza del sistema capitalistico, decine di migliaia di ‘paria’ e di indesiderati.
Il secondo è un cortometraggio di finzione, Split Ends (Iran, 2022) di Alireza Kazemipour, in cui viene messa in scena una protesta creativa nei confronti della polizia morale iraniana. Una ragazza con i capelli rasati e un ragazzo con i capelli lunghi ai quali è stata confiscata l’auto per non aver indossato l’hijab affrontano con spirito beffardo la polizia morale di Teheran. Contro l’assurdità, la violenza e l’inconsistenza stessa del Potere, i due giovani costruiscono coraggiosamente uno spazio liberato, quello di una contestazione che assume le caratteristiche di una vera e propria creazione artistica contro la pesantezza delle regole. In un rovesciamento ironico, la ragazza ha i capelli rasati mentre il giovane ha i capelli lunghi e gli viene sequestrata l’auto perché scambiato dalla telecamera di controllo per una ragazza. La loro ribellione (che non sveleremo) assume allora la valenza di un atto di libertà che vuole andare oltre le surreali imposizioni della polizia morale.
Successivamente viene proiettato Murder Tongue (Pakistan, 2022) di Ali Sohail Jaura, ambientato a Karachi nel maggio del 1992, in un momento in cui la comunità di lingua urdu subisce pesanti discriminazioni. La storia possiede un impianto crudo e realistico: un padre si sveglia di notte e viene informato che il figlio non è tornato a casa. Inizia allora un drammatico viaggio verso l’ospedale – dove gli avevano detto che si trovava il figlio – attraversando i posti di blocco di una polizia violenta e corrotta, sempre pronta ad atti di prepotenza nei confronti della minoranza urdu.
Infine, a chiudere la rassegna, è il dolce e fiabesco L’Ombre des corbeaux (Francia, 2021) di Elvira Barboza. Siamo nel 1986 in un villaggio francese e Natalia, di origine argentina, scopre strane cicatrici sul corpo del padre il quale le racconta che è stato un corvo ad infliggergliele, durante una prova di coraggio. La bambina arriverà alla verità tramite il filtro della fiaba e della poesia: le immagini del suo pensiero prendono forma, infatti, in disegni animati in cui vediamo un corvo che ferisce e fa a pezzi il corpo di un uomo. La verità, alla fine, la scoprirà leggendo una lettera scritta dal padre ai suoi avvocati: nel 1976, durante la dittatura di Videla, è stato rapito e sottoposto a torture con l’accusa di essere un oppositore del regime. La crudeltà, la violenza, la violazione dei diritti umani (la stessa cui abbiamo assistito anche negli altri cortometraggi), come già notato, vengono adesso rivestite di un involucro poetico e fiabesco che ne mostra i lati più inquietanti ed assurdi.
In definitiva, si tratta di quattro cortometraggi che riescono a toccarci nel profondo perché raccontano fatti ben reali che sono successi e continuano a succedere: anche adesso mentre state leggendo, checché ne dicano i politicanti di turno, i diritti umani vengono costantemente violati, calpestati, negati. L’Europa delle frontiere e dei confini, l’Iran degli assurdi divieti, il Pakistan delle discriminazioni, l’Argentina della sanguinaria dittatura di Videla prendono forma intorno a noi, come terribili fantasmi che appartengono alla realtà.
gvs
(in copertina: un fotogramma da Split Ends)