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US Livorno: un disastro di nome Esciua

Una premessa è d’obbligo: si può parlare di disastro dopo otto giornate di campionato, con la squadra al terzo posto e quattro vittorie su quattro fuori casa? La risposta è sì, se in casa vinci una partita su quattro e su tre scontri diretti con squadre di fascia medio alta ne perdi due e ne pareggi uno fortunosamente al 96’. Sì, se giochi peggio di quasi tutte le altre squadre finora incontrate e fai risultato solo grazie a qualche giocata individuale, se hai la peggior difesa della parte sinistra della classifica (tranne il Ghiviborgo), e se il presidente, più che seguire la squadra, da tre mesi fa la guerra ai tifosi… e potremmo continuare.

Dobbiamo ammettere (nessuno è perfetto) che la scorsa primavera la prima conferenza stampa di Esciua ci era piaciuta: si era visto un presidente che conosceva la storia del Livorno e che voleva creare un legame solido e duraturo con la città. Non prometteva di portarci in Coppa UEFA, ma di impegnarsi per risalire creando una società ben strutturata e con i professionisti giusti al posto giusto. La commissione che ai tempi della rinascita dell’Unione aveva valutato le varie offerte degli imprenditori interessati lo aveva giudicato positivamente, anche se poi era stato scelto Toccafondi, che nonostante il merito di aver dato continuità al calcio livornese, dopo due anni di insuccessi tra Eccellenza e serie D sembrava giusto che lasciasse il timone a un presidente più solido.

Era difficile fare peggio dei due anni precedenti: dopo le batoste nei playoff di Eccellenza con Tau e Figline, la finale persa a Pomezia, l’Arezzo che passeggia all’Ardenza, c’era voglia di girare pagina. Non c’era bisogno di Abramovich: hanno vinto la serie D squadre di paese che si finanziano con le cene di sottoscrizione o con il contributo di qualche piccolo commerciante locale.

Chi fosse veramente Esciua nessuno poteva saperlo, ma era difficile pensare che il Livorno, distrutto da Spinelli, potesse essere appetibile per l’ennesimo speculatore.

L’estromissione di Protti, arrivata subito dopo il cambio al vertice, non era un buon segnale ma poteva avere un senso se mirata ad avere dirigenti con migliori capacità manageriali.

I primi forti dubbi sono arrivati quest’estate, quando a differenza di Toccafondi, che per due anni era stato costretto a improvvisare una campagna acquisti sapendo solo all’ultimo momento in quale categoria avremmo giocato, Esciua aveva tutto il tempo che voleva per programmare al meglio la stagione. Prima mossa logica sarebbe stata quella di affidarsi a un direttore sportivo con un buon curriculum, poi ingaggiare un allenatore vincente con grande esperienza di serie D e costruire la squadra in base alle loro indicazioni, come ha fatto l’Arezzo l’anno scorso (Giovannini-Indiani) o il Grosseto quest’anno.

Come DS invece è tornato Pinzani che un grande curriculum non ce l’ha e che aveva clamorosamente fallito due anni fa costruendo una squadra che non era stata in grado di dominare il campionato di Eccellenza. Poi sono iniziati a circolare i nomi di allenatori vincenti che ad uno ad uno si accasavano altrove, ma quando è stato ingaggiato Favarin il fatto che avesse giocato a Livorno, che si fosse sempre caratterizzato per la grinta e avesse  vinto diversi campionati aveva almeno in parte fugato le preoccupazioni.

L’ingaggio dei giocatori è stato però un altro grosso campanello d’allarme sulle competenze e le disponibilità economiche della nuova società. Un lungo periodo di silenzio mentre le avversarie si rinforzavano prendendo i giocatori più validi della categoria, e poi il caso Boccalon, impossibile da digerire. Perché quando punti a un giocatore e questi preferisce l’Aglianese firmando un contratto annuale, qualcosa che non va ci dev’essere per forza.

Se si voleva puntare su gente motivata anziché sui grandi nomi molti sarebbero stati i calciatori livornesi che avrebbero fatto carte false per venire nella loro città e che invece ci stiamo ritrovando contro in queste domeniche di campionato. Alcuni nomi: Camarlinghi del Seravezza, Zini del Ghiviborgo, Picchi che è andato a Grosseto o Andolfi del TAU, autore di una tripletta all’Ardenza due domeniche fa.

Dunque la squadra è stata costruita con molto ritardo, aspettando top player che non sono venuti, in ritiro molti degli attuali titolari non c’erano e questo ovviamente si paga. Tanto è vero che quando il Grosseto ci ha preso a pallonate, il mantra ripetuto da tutti è stato “loro sono più avanti di noi”. E sul momento, visti anche i buoni risultati iniziali, nessuno si è preoccupato che il gioco lasciasse a desiderare, che si prendessero troppi gol o che certi ruoli rimanessero scoperti, anche perché nella rosa c’erano tre o quattro infortunati di lungo corso che dovevano rientrare (Fancelli, Sabattini, Fissore…).

Il problema è che non solo questi infortunati non si sono ancora visti, ma nel frattempo abbiamo perso due elementi chiave del centrocampo, Bartolini e Caponi.

Il caso Caponi è stata la dimostrazione della confusione più completa che stiamo attraversando a livello tecnico: un giocatore preso per fare il leader del centrocampo, con grande esperienza in categoria superiore, dopo sette giornate se ne va perché non gioca mai… E così, tra l’infortunio di Bartolini, la cessione di Pecchia e la rescissione di Caponi, ora a centrocampo un quarantenne come Luci è diventato insostituibile.

L’attacco ancora non si capisce come deve giocare. Cori deve fare sponda ma per chi? Menga è desaparecido (eppure l’anno scorso giocava titolare nella Pianese), Mutton dopo l’infortunio è l’ombra di se stesso, si cercano Cesarini e Giordani sperando che inventino qualcosa, altrimenti sono dolori perché qualche gol lo prendi sempre. La difesa infatti è un pianto, con sette gol subiti in quattro partite in casa, e nemmeno si è provato, visto che i centrali sono lentissimi, a passare a tre. I portieri: siamo sicuri che la scelta di mettere una quota in porta è azzeccata? E se sì, perché non si è andati su un giovane di sicuro affidamento come ad esempio Di Biagio, o sono fuori portata anche i giocatori del TAU? La condizione atletica appare approssimativa, corrono tutti più di noi, infortuni a raffica, ma quel che è peggio è che la squadra nelle ultime giornate non solo non è migliorata ma è addirittura peggiorata.

Non c’è uno schema che è uno: basta vedere come giocano le altre squadre, anche le peggiori a livello tecnico, per rendersi conto di quanto è deprimente il gioco del Livorno: palla a cercare i tre davanti e basta. Funziona con le squadre più scarse, ma non con le dirette avversarie.

Favarin appare in confusione, ultima dimostrazione lasciare Cori e Nardi in panchina con il Seravezza: o c’è presunzione (turn over? Ma fallo con l’ultima in classifica!) o altrimenti è normale che la gente cominci a pensare a qualche dinamica strana nello spogliatoio.

A rafforzare l’idea di una grande presunzione da parte di Favarin è stata anche l’antipatica polemica contro i “leoni da tastiera”, come se i tifosi che continuano a seguire il Livorno anche nei paesini più sperduti non avessero il diritto di discutere le scelte della società e dell’allenatore. Che non ci risulta abbia mai giocato nel Barcellona o allenato il Liverpool.

E qui ci vorrebbe l’intervento deciso di una società seria ad imporre una svolta. Ma che la società sia assente lo abbiamo visto con il mancato ingaggio di Gasbarro, che è andato alla Fermana. Nonostante l’evidenza che i centrali difensivi sono inadeguati, con l’opportunità di prendere un giocatore livornese che per la categoria è un lusso, lo si è lasciato scappare, forse perché l’offerta non è stata sufficiente. Ma allora i soldi ci sono o no? Si parla di risalita in serie C e poi ci si fa soffiare i giocatori dalla Fermana o dall’Aglianese?

In realtà Esciua sembra molto attivo sì, ma nella sua guerra personale contro la tifoseria: prima un consistente aumento del costo dei biglietti, poi l’ossessione delle bandiere palestinesi. La sfuriata a Ghivizzano è stata una delle scene più penose a cui abbiamo assistito in anni e anni di stadio: eppure di presidenti ne abbiamo visti passare tanti… Avendo studiato la storia del Livorno, doveva sapere come la nostra tifoseria ha sempre avuto tra i suoi valori fondamentali la solidarietà internazionale e l’antirazzismo. Padronissimo di andare in piazza a sostenere con qualche decina di persone la causa dello stato di Israele e delle sue politiche di apartheid, ma denunce, minacce e dichiarazioni bellicose contro la curva risultano inaccettabili. Anche perché il nuovo DG Mosseri aveva dichiarato (non era ancora scoppiata la crisi in Medio Oriente) che non ci sarebbero stati problemi per le bandiere palestinesi allo stadio, perché il vero problema è l’antisemitismo. E su questo Livorno è al di sopra di ogni sospetto, magari Mosseri ed Esciua potrebbero cercarlo tra quei politici di destra che ora fanno gli amici di Israele per opportunismo e che hanno in casa il busto del duce. Eppure Esciua è riuscito nell’impresa di far uscire titoli di giornale dove si indicano alcuni forum dei tifosi amaranto come covi di razzisti, neanche si fosse a Verona o ad Ascoli. Una vergogna che la città non meritava.

Non si parla neanche più dei campi di allenamento o dello sviluppo del settore giovanile. La squadra si allena in campi senza attrezzature e per fare la doccia si sposta allo stadio.

Brutta situazione quindi, che rischia di sfuggire definitivamente di mano, non solo dal punto di vista strettamente sportivo ma anche con una rottura tra società e tifoseria che può avere conseguenze molto molto spiacevoli. Alle situazioni brutte ci siamo abituati, ma come si dice, i presidenti passano, la maglia resta. Dispiace solo che anche questa con ogni probabilità sarà un’annata buttata via.