Censor, il capitalismo e Piazza Fontana
Che la strage di Piazza Fontana si possa considerare come un vero e proprio golpe italiano ce lo conferma un interessante pamphlet a firma Censor, il Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia, un testo poco conosciuto che offre delle osservazioni interessanti anche sulle bombe del 12 dicembre 1969. Il libro uscì nel 1975 per l’editore Scotti Camuzzi in un’elegante edizione di 520 esemplari numerati per bibliofili e fu spedito per posta all’èlite politica e finanziaria italiana: banchieri, politici, giornalisti e anche al papa Paolo VI. Subito esaurito, venne poi ristampato da Mursia. Sotto lo pseudonimo “Censor” si cela Gianfranco Sanguinetti, un intellettuale vicino a Debord e ai situazionisti. Censor – nella finzione costruita da Sanguinetti – sarebbe quindi un esponente dell’èlite finanziaria del paese che enuncia delle vere e proprie linee guida ai suoi pari in funzione anticomunista. Fra queste incontriamo dunque anche diversi accenni alla strage di Piazza Fontana. L’autore afferma che sul finire del 1969 la Repubblica si è trovata davanti ad una alternativa: “ripristinare la legalità costituzionale; oppure scomparire”. Lo Stato, perciò, per sopravvivere (e per “salvare il capitalismo”), poteva contare soltanto sui servizi segreti di sicurezza e sui propri organi di informazione per divulgare gli effetti di un possibile “fatto imprevedibile e di natura traumatica” (come, qualche tempo prima della strage, scrisse un giornalista di Epoca, intravedendo in esso come l’unica possibilità di fermare le ondate di protesta dell’autunno caldo). Ma è tempo di lasciare la parola a Censor:
Queste bombe furono la furono un errore o furono la salvezza? Furono l’una e l’altra cosa, o meglio furono la salvezza provvisoria delle istituzioni, e una fonte perenne di successivi errori. Per questo noi siamo convinti che non si criticherà mai abbastanza l’operazione del 12 dicembre 1969, perché la bomba di Piazza Fontana, mentre voleva essere l’ultimo colpo d’intimazione contro la minaccia di sovversione proletaria, era di fatto già il primo colpo di cannone della guerra civile: e dal modo in cui è stato tirato questo colpo si può misurare l’incapacità delle nostre forze in una tale guerra civile. Tutto il burlesco dei successivi golpe falliti della nostra estrema destra era già contenuto in questa manifestazione di grandiosa incompetenza. Noi non vogliamo negare l’utilità, in qualsiasi Paese moderno, di simili iniziative di emergenza, che la necessità di un determinato momento critico può imporre, così come non neghiamo neppure che la bomba di Piazza Fontana abbia avuto, a modo suo, un evidente effetto salutare, disorientando completamente i lavoratori e il Paese, e permettendo al partito comunista di riunire gli operai dietro di sé nella “vigilanza” democratica contro un fantomatico pericolo fascista, mentre i sindacati potevano finalmente concludere presto e bene le ultime e più laboriose vertenze contrattuali. Ciò che neghiamo invece risolutamente, è che questo effetto positivo fosse assicurato o soltanto prevedibile con un margine sufficiente di sicurezza; che, cioè, non si sia adottato un rimedio peggiore e più rischioso del male, servendosi in modo così approssimativo di una simile azione parallela. E questo in un duplice senso. Innanzitutto in troppi erano al corrente di una operazione del genere prima ancora del 12 dicembre. Al proposito ci limitiamo a fare una sola considerazione: se soltanto uno degli esponenti della sinistra, fra quelli che sapevano, avesse detto pubblicamente, anche a titolo personale, la verità, che oggi è sulla bocca di tutti, immediatamente dopo l’esplosione delle bome, ebbene allora, la televisione poteva dir quel che voleva, ma la guerra civile sarebbe scoppiata altrettanto immediatamente, e niente più avrebbe potuto impedirla. È stato, si può ben dirlo, un vero colpo di fortuna se la classe politica si è rinchiusa, all’epoca, dietro un riserbo rumoroso, ma rigoroso. Ciò non toglie che è stata pura incoscienza lasciar sussistere al proposito un così grave elemento di incertezza. Secondariamente notiamo che, sia la pessima scelta dei colpevoli – in ogni caso un Valpreda è poco plausibile come attentatore, anche se cento taxisti, prima di morire, lasciassero altrettante testimonianze a futura memoria -, sia il modo in cui polizia e magistratura si sono comportate in quest’affaire, ne hanno fatto quel fragile pasticcio tinto di lugubre e di grottesco più degno di esser rappresentato in una dittatura sudamericana che in una democrazia europea (Censor, Rapporto veridico…, pp. 68-69).
Censor continua affermando che “l’operazione del 12 dicembre” può dirsi riuscita perché le bombe “imposero l’effetto desiderato, in quanto al posto del loro unico significato tutti i mezzi d’informazione misero innanzi le loro etichette molteplici – nella fattispecie anarchiche e fasciste -; e i mezzi d’informazione furono creduti in un primo momento, a dispetto delle versioni contraddittorie, e anzi forse proprio per questo” (Censor, Rapporto veridico, p. 69).
Dopo l’uscita del volume, l’editore Scotti Camuzzi fu ringraziato per lettera da Giulio Andreotti, Aldo Moro, Pietro Nenni, Giorgio Amendola, Guido Carli, Bruno Visentini, Gianni Agnelli, dal Consiglio Superiore della Magistratura, dal Prefetto di Milano e moltissimi giornalisti tessero le lodi dell’autore, per nulla disturbati dal suo cinismo estremo. Come autori furono sospettati il senatore Merzagora, ex-presidente del Senato e della Repubblica ad interim, il governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, che si firmava Bancor, e perfino Eugenio Montale.
Riferimenti bibliografici:
Censor, Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia, Mursia, Milano, 1975.
Gianfranco Sanguinetti, Un orgasmo della storia: il 1977 in Italia, in ’77. Una storia di quarant’anni fa nei lavori di Tano D’Amico e Pablo Echaurren, Postcart, Roma, 2017.