Internazionale

Il “giorno zero” di Montevideo

Leggo dal settimanale uruguaiano “Marcha” che al mercato di Tristán Narvaja domenica i venditori ambulanti offrivano “Caffè con acqua senza sale, caffè con acqua dolce”. I bidoni d’acqua che costavano 110 pesos, diversi commercianti hanno iniziato a venderli a 160 pesos (1 peso ᵙ 0,024 euro).
Per far fronte alla situazione, il governo ha messo una tassa per diminuire i prezzi dei bidoni. Ma dal rubinetto continua a sgorgare acqua salata ed è impossibile usarla per cucinare. Ergo, chi vuole un minestrone deve acquistare altri bidoni d’acqua e addio eventuale risparmio.
Il concetto “giorno zero” è stato definito anni fa a Città del Capo in seguito a una severissima siccità pluriennale che raggiunse l’apogeo nel 2018.
Man mano calavano le riserve d’acqua di questa città (di oltre 4,6 milioni di abitanti), aumentavano le restrizioni sui consumi in base a un piano, organizzato con largo anticipo, che prevedeva che, quando le riserve fossero arrivate sotto il 13,5%, si sarebbe decretato il “giorno zero”. Ovvero, sarebbe cessata la distribuzione automatica di acqua dolce.
Per gli 1,8 milioni di abitanti di Montevideo la situazione è ben più grave: Paso Severino, la principale fonte di acqua dolce per l’area più popolata del Paese, ha una capacità di 67 milioni di metri cubi. Domenica 2 luglio ha raggiunto il minimo storico: 1.255.326 metri cubi, l’1,87%. Non bastano per 2 giorni di consumo..
Dai rubinetti l’acqua continua a sgorgare, ma non è più potabile.
Senza alcun piano, il governo continua a improvvisare. Per ora, la conseguenza più notabile è che l’acqua dolce è diventata salata perché si preleva acqua dal Rio de la Plata, che presenta un alto indice di salinità.
Come accadde in Italia con altri indici d’inquinamento, a inizio maggio il Ministero della Salute ha provveduto raddoppiando i limiti massimi consentiti di cloruro di sodio nell’acqua potabile.
Era una decisione inumana, e cioè non adatta per gli umani. Quindi, la Facoltà di Chimica e la Prefettura di Montevideo hanno certificato la sua non potabilità.
Il governo, come sempre creativo, ha risposto: “El agua es bebible” (L’acqua è bevibile).
Entusiasta, Álvaro Delgado, segretario della presidenza, si è assunto un impegno preciso: “Manterremo la qualità dell’acqua”.
Non ha chiarito a quale acqua si riferiva, ma il problema si è risolto rapidamente poiché in poche ore sono stati superati anche i nuovi limiti di salinità.
A quel punto, è intervenuto il presidente Lacalle che, col tono adeguato alle circostanze, ha annunciato che il paese era in “emergenza idrica”.
Un’emergenza può servire a molte cose. Ad esempio, a eliminare ogni controllo sulla spesa pubblica in materia.
Eppure, non si tratta di una emergenza bensì di una crisi con almeno quattro dimensioni: ambientale, sociale, sanitaria ed economica.
E’ un disastro ecologico poiché il bacino del fiume Santa Lucia è ormai totalmente inquinato e il suo ricupero richiederà decenni.
E’ una crisi sanitaria generalizzata e ormai evidente per gli ipertesi, i bambini e le donne in gravidanza. Ma non è che gli altri possano vivere tranquilli: le acque contengono trialometani (THM), una sostanza probabilmente cancerogena.
E’ una crisi sociale poiché accentua la disuguaglianza e l’emarginazione. I più poveri dispongono di minori risorse per acquistare i bidoni, dovranno abituarsi in fretta alla zuppa salata.
E’ una crisi economica perché aggrava le difficoltà dell’insieme delle famiglie e di buona parte delle imprese.
L’acqua è un elemento essenziale del nostro organismo. Siamo composti mediamente dal 70% di acqua (non di oltre il 90% come dichiarò nel 2018 il ministro di Maio). La percentuale può oscillare tra il 55 e il 75% a seconda di diversi fattori quali peso, sesso, regime alimentare, età, attività fisica e l’ambiente in cui si vive.
Per capire questo rapporto con un esempio pratico, possiamo dire che in una persona di 70 kg ben 47 sono di acqua.
Oltre il 75% dell’acqua che compone il nostro corpo è contenuta nei muscoli e negli organismi interni. Il resto è suddiviso tra struttura ossea e tessuto adiposo. La presenza di tutta quest’acqua nel nostro organismo è fondamentale perché diverse attività del corpo umano possano svolgersi al meglio: il battito cardiaco, la vista, la respirazione, la digestione, l’avvio degli stimoli nervosi, l’olfatto, eccetera.
Di quanta acqua da bere abbiano bisogno? L’European Food Safety Authority (EFSA), l’Istituto per la Sicurezza Alimentare della comunità europea, l’ha quantificato in base all’età e al sesso. Possiamo riassumerla più o meno in questo modo:
Neonati sino a sei mesi di vita: 100 ml/kg al giorno,
Bambini:
tra 6 mesi e un anno di età: 800-1000 ml/giorno,
tra 1 e 3 anni di vita: 1100-1300 ml/giorno,
tra i 4 e gli 8 anni di età: 1600 ml/giorno;
Tra 9-13 anni: 2100 ml/giorno per i bambini e 1900 ml/giorno per le bambine;
Adolescenti, adulti e anziani:
femmine 2 L/giorno, maschi 2,5 L/giorno.
Naturalmente, questi valori sono indicativi. In condizioni di climi caldi e di attività fisiche intense, o altre condizioni che inducano disidratazione, i livelli di acqua da assumere possono variare sensibilmente (può considerarsi anche più del doppio dei valori indicati). Ciò si verifica anche in condizioni di stress e disturbi gastroenterici che determinino vomito e diarrea.
Torniamo al nostro “giorno zero”.
A Città del Capo, il governo si era impegnato a consegnare 25 litri d’acqua a persona a partire dal “giorno zero”.
A Montevideo, due ministri hanno annunciato che ci saranno 2 litri d’acqua potabile a persona. Presentata in pompa magna, è inferiore a quella necessaria, non solo per i più vulnerabili. Difficilmente pubblicità e propaganda riusciranno a nasconderlo a lungo.
A Città del Capo il “giorno zero” non è mai arrivato perché pochi giorni prima riprese a piovere.
Il Cairo, Giacarta o Città del Messico ne sono vicine da decenni, per la scarsità di risorse idriche.
Montevideo è la prima capitale arrivata al collasso. Ma non per carenze idriche essendo circondata da fiume e ruscelli.
Non solo: l’Uruguay galleggia sul sistema acquifero Guaranì, il terzo più grande serbatoio sotterraneo di acqua dolce del pianeta, che condivide con Argentina, Brasile e Paraguay.
Con la solita voce tuonante Lacalle ha detto in TV: “A breve, l’unica soluzione è la pioggia”.
Purtroppo, a Montevideo scarseggiano ballerini e danze propiziatorie e, secondo l’Istituto uruguaiano di meteorologia (Inumet), non sono previste piogge a breve termine: “Le piogge abbondanti e ricorrenti inizieranno a settembre”.
Quindi, salvo miracoli, Montevideo sarà la prima capitale a raggiungere nel XXI secolo il “giorno zero”.
Apparentemente, il governo non è nemmeno riuscito a capire quale sia il problema.

Rodrigo Rivas