La danza macabra del Capitale: retorica bellica dal Covid all’Ucraina
C’è un fenomeno che, soprattutto in Italia, ha ininterrottamente attraversato gli eventi degli ultimi due anni, dal Covid alla guerra in Ucraina, fino a espandersi in una bolla mediatica senza limiti: una insistita e onnipervasiva retorica bellica. Nei momenti più difficili dell’emergenza pandemica, nella primavera del 2020, è stato creato ad arte dai governanti e dai media, loro servi, uno scenario di guerra perfetto. Se da più parti si inneggiava a una “guerra contro il virus”, da altre si parlava di medici come “eroi” perché – lo sappiamo – non può esserci una guerra senza eroi. La retorica della guerra esige anche patriottismo e unità nazionale: ecco allora che ogni dove emergevano squallidi conati di patriottismo e di nazionalismo, dall’esposizione del tricolore alle finestre al canto dell’inno nazionale.
Attenzione, però. La guerra dichiarata non era solo contro il Covid ma anche contro tutti i possibili “untori” del Covid: ecco, quindi, eserciti schierati per le strade, elicotteri, droni, squadre speciali, incursori d’assalto che se la prendevano con chi portava il cane a passeggio o con qualche runner isolato. La retorica della guerra al Covid ha avuto poi una ripercussione sulla nostra vita di tutti i giorni: soltanto in uno stato d’assedio, soltanto in uno stato militarizzato sarebbe stato necessario esibire un’autocertificazione (interpretabile in mille modi) per poter uscire di casa. Tale retorica bellica, adeguatamente pompata dai media, ha creato una linea netta fra due categorie: quella dei buoni, degli eroi, dei “patrioti” e quella dei cattivi, dei nemici, meritevoli soltanto di disprezzo e di odio.
La stessa retorica è presente in qualsiasi notizia legata alla guerra in Ucraina. Con un piccolo particolare: adesso si tratta di una guerra vera. Sembra proprio che i media non aspettassero altro: ancora una volta, patrocinata dall’alto, si traccia una linea di demarcazione fra i buoni e i cattivi: buoni sono gli europei, i patrioti e i nazionalisti, gli ucraini e Zelensky; cattivi sono Putin, i suoi oligarchi, tutto il popolo russo e tutta la cultura russa (la quale, in Occidente, può essere tranquillamente censurata). L’Europa, la Nato, gli Stati Uniti difendono la democrazia contro la barbarie russa. La democrazia occidentale, nata e cresciuta in seno alla macchina capitalista, secondo questa logica equivale alla pace la quale, per essere ‘esportata’, ha bisogno di guerre sanguinarie (come a Kabul, a Belgrado o a Baghdad). La retorica della pace e della democrazia del capitalismo occidentale, rimbalzata sui media, assomiglia al “bispensiero” orwelliano, secondo il quale “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”. Solo nel malato modo di pensare improntato al sistema capitalistico si può ritenere che la guerra possa portare alla pace. Su questa retorica bellica, fulgido esempio di “bispensiero”, è improntata anche la decisione dell’Italia di aumentare le spese militari al 2%: Draghi, il suo governo e gli sciacalli mediatici non aspettavano niente di meglio che una guerra reale. Se ci facciamo caso, le notizie sul Covid che continuavano a imperversare quotidianamente su media e telegiornali, sono magicamente scomparse dal momento in cui la Russia ha invaso l’Ucraina per riapparire relativamente poco tempo fa, in forma più blanda e meno pervasiva. Il potere attuale dei media assomiglia infatti a un altro degli slogan dei dittatori di 1984 di George Orwell: “Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato”.
Se i russi sono stati identificati come i nuovi nemici, Zelensky e gli ucraini sono i nuovi eroi. Abbiamo anche assistito allo squallido spettacolo di tutte le cancellerie e i parlamenti europei in piedi sull’attenti di fronte ai discorsi di Zelensky, il quale si è trasformato in una sorta di profeta del patriottismo e dell’ultranazionalismo. È paradossale vedere i ‘pacifisti’ occidentali osannare come una specie di santone un personaggio che non ha fatto altro che richiedere una “no fly zone” sull’Ucraina, la quale porterebbe a una pericolosa escalation del conflitto. Zelensky è tutto tranne che un pacifista. Con ciò non si vuole certo giustificare Putin, ci mancherebbe altro. E non si vuole certo negare l’enorme tragedia umanitaria che ha investito il popolo ucraino. Solo chi ha ormai del tutto disimparato a pensare potrebbe ipotizzare un simile ragionamento; una cosa è la realtà, un’altra la retorica bellica mediatizzata, frutto di un capitalistico “bispensiero” occidentale; ed è da quest’ultima che dobbiamo stare in guardia. Nel personaggio di Zelensky non sappiamo fino in fondo quanto ci sia di ‘reale’ e quanto di spettacolare, di mediatico, senza nulla togliere al suo essere, in fin dei conti, proprio un attore, un uomo di spettacolo.
Il regime di Putin, d’altra parte, è un retaggio di quel “socialismo da caserma” di cui parla Robert Kurz, ormai convertitosi nel capitalismo più violento e ostentato. Sotto il suo travestimento spettacolare improntato al “bispensiero” (secondo il quale la democrazia e la pace sono altri modi per dire guerra), il lucido pensatore tedesco ci ricorda che non esiste più nessun “mondo unico” occidentale: “Il «mondo unico», finalmente realizzato e riconosciuto come tale, confinato nella forma feticistica del sistema della merce in dissolvimento sotto i colpi della crisi, getta la maschera, rivelando il volto orribile di una guerra civile mondiale ai suoi inizi, senza più fronti ben definiti, ma solo esplosioni di violenza cieca a ogni livello”[1]. Lo spettacolo capitalistico getta la maschera da clown per rivelare la sua vera, terribile natura. E i governi occidentali, come stupide marionette del Capitale, stanno già ballando la loro danza macabra.
gvs
[1] R. Kurz, Il collasso della modernizzazione. Dal crollo del socialismo da caserma alla crisi dell’economia mondiale, a cura di S. Cerea, Mimesis, Milano-Udine, 2017, pp. 177-178.