Memorie

Oggi, 12 luglio 2024, Parral sta di festa. 120 anni compie don Pablo

La bellezza inonda e irradia le strade.
Come ricordarlo?

Basterebbe una delle sue tante poesie.
Basterebbe dire, è solo un esempio, “e non mi stanco di essere e di non essere.
A volte mi chiedo come e da chi, se dal padre, dalla madre o dalla cordigliera, ho ereditato i doveri minerali, i fili di un oceano acceso.
Ma so che continuo e continuo perché continuo. E che canto e canto perché canto.
E non mi stanco di andare e ritornare” (“Pieni poteri”).

Disse nel suo.discorso di ringraziamento per il Nobel nel 1971:
Penso che la poesia sia un atto, effimero o solenne, cui partecipano la solitudine e la solidarietà, il sentimento e l’azione, l’intimità con sé stessi e con l’uomo, la segreta rivelazione della natura.
E credo che tutto si regga – l’uomo e la sua ombra, la sua condotta, la sua poesia – su una comunità sempre più ampia, su un esercizio che comporrà per sempre in noi la realtà e i sogni, perché la poesia li unisce e li fonde”.

Il poeta, precisò, non è un «piccolo dio» ma un uomo comune, un uomo che ha tutto ciò che ha un uomo comune, che ha tutto ciò che un uomo comune deve avere:
Il miglior poeta è l’uomo che ci dà il pane quotidiano. È il fornaio dietro casa, che non pensa di essere Dio. Egli svolge il suo maestoso e umile lavoro d’impastare, infornare, dorare e consegnare il pane quotidiano come un dovere comunitario.
E se il poeta riesce a raggiungere quella semplice consapevolezza potrà diventare parte di un monumentale artigianato, di una costruzione semplice o complessa che è la società, consegnando pane, verità, vino, sogni”.

Già nella Spagna del lungo inverno iniziato nel 1936 si era reso conto delle atroci implicazioni di una dittatura: “Venite a vedere il sangue per le strade” (“Spagna nel cuore”). E aveva visto l’emblematico martirio dell’amico Federico Garçia Lorca (“Ti ricordi Federico?”).
Quindi, aderisce nel 1944 al partito comunista cileno poiché bisogna “partire dal senso di una comunità che si fa civiltà lavorando insieme” (1970, discorso come precandidato presidenziale in Calle Compañía).

Traduce così questo suo impegno.davanti all’Accademia di Stoccolma:
“Impegnato nello scenario delle lotte americane, capii che la mia missione umana altro non era che di unirmi all’immensa forza del popolo organizzato, col sangue e con l’anima, con passione e speranza, perché solo da quell’alveo in piena possono scaturire i mutamenti necessari agli scrittori e ai popoli. E nonostante la mia posizione abbia sollevato, e sollevi, obiezioni sgradevoli o cortesi, non vedo altra via per lo scrittore dei nostri vasti e crudeli Paesi, se vogliamo che l’umanità fiorisca, se pretendiamo che milioni di uomini, che ancora non sanno scrivere né scriverci, conquistino quella dignità senza cui non è possibile essere pienamente uomini”.

Quindi, per Neruda lo scrittore impegnato era uno scrittore politico.
Lui lo fu nella carriera diplomatica, da console cileno in vari Paesi del mondo, lo fu da senatore, lo fu da precandidato presidenziale.

Colpito a morte dal golpe di Pinochet del 11 settembre 1973 morì 9 giorni dopo, il 22 settembre 1973.
Informato dell’accanimento dei carnefici sulla sua dimora, si era limitato a dire: “Non troveranno nulla, è la casa di un poeta”.

“Ho scelto la difficile via”, concluse a Stoccolma, “d’una responsabilità condivisa e, anziché reiterare l’adorazione dell’individuo come astro centrale del sistema, ho preferito rivolgere con umiltà i miei servizi a un rispettabile esercito, che a tratti potrà anche commettere degli errori ma che cammina senza sosta e avanza, lottando ogni giorno tanto contro l’anacronismo di chi vi si oppone quanto contro l’impazienza di chi vi aderisce dogmaticamente. Perché credo che tra i miei doveri di poeta non rientrasse solo la fratellanza con la rosa e con la simmetria, con l’amore magnificato e con l’infinita nostalgia, ma anche quella con gli ardui compiti dell’essere umano”.

In chiusura si richiamava all’amato Rimbaud: “All’aurora, armati di ardente pazienza, entreremo nelle splendide città”. Aggiungeva: “Entreremo alzando la testa in nome della dignità di ogni uomo, di cui siamo portavoce.
La mia forza è il mio dolore. Un cuore, pur al colmo del dolore, può giovarsi delle spine come forza per il suo riscatto ed essere ancora un cuore pulsante”.

Parlava in prosa, ma era sempre un poeta, e che poeta!
E non esprimeva solo ottimismo della volontà, bensì possibilità possibile, verità vera. Allora è, penso, oggi.
“Perché vinceremo noi, i più poveri, i più piccoli, gli ultimi. Anche se tu non ci credi, vinceremo noi” (“Ode all’uomo comune”).

Vorrei essere a Parral stasera.
“Salud, don Pablo.
Cerchiamo di continuare ma senza il tuo talento è molto più difficile.
Comunque, vinceremo”.

Rodrigo Rivas