Ambiente

Turismo o rivoluzione?

                                                                                                    

 

Turismo o rivoluzione? 2

 

 

Turismo o rivoluzione: bisogna scegliere.

 

Rodolphe Christin

 

 

 

Turismo o rivoluzione? Se lo chiede il sociologo francese Rodolphe Christin in un interessante saggio, pubblicato in Francia nel 2014, che è stato da poco tradotto in italiano per elèuthera, Turismo di massa e usura del mondo (pp. 135, € 14,00). Se la contemporanea epoca ipermoderna è pervasa da una incessante dromomania, cioè da una vera e propria ossessione per lo spostamento, è pur vero che esso è imposto dalla struttura sociale capitalistica. Il turismo, inteso come la più comune espressione dello spostamento nella contemporaneità, è sottoposto alla logica dominante del lavoro salariato. È solo, quindi, nel cosiddetto tempo libero che possiamo allontanarci per un periodo di tempo variabile dagli impegni della quotidianità. Gli stessi spazi del turismo sono allestiti secondo la medesima logica che domina la società capitalistica. Infatti, l’autore si chiede anche: «La mobilità non è un modo per inglobare, o persino arruolare, l’individuo ipermoderno in un mondo di beni e servizi presentato come il solo auspicabile o, peggio ancora, come il solo possibile?». I centri storici delle più importanti città d’arte, almeno nel mondo occidentale, sono stati trasformati in enormi centri commerciali all’aperto dove si possono trovare quasi gli stessi prodotti. Il viaggio, inserito entro la macina del capitalismo contemporaneo, ha perciò perduto qualsiasi forma di contestazione o di liberazione dell’individuo, per cui anche «gli attuali scrittori-viaggiatori non hanno più niente in comune con l’anticonformismo dei viaggi compiuti un tempo da autori come London, Kerouac, Cendrars o Bouvier, le cui orme molti pretendono ancor oggi di seguire».

In un mondo siffatto, il mobilismo si trasforma in un vero e proprio «motore ausiliario del capitalismo» che impone, da una parte, gli spostamenti di massa dei migranti, che avvengono in condizioni disumane, anche a costo della vita, dall’altra, lo sradicamento e lo spostamento continuo di chi si  muove per lavoro: ad esempio, «il dirigente globalizzato, questo individualista a tempo pieno del tutto inconsapevole delle forze che subisce anche se crede di padroneggiarle, è a malapena più libero di colui che parte per istinto di sopravvivenza per sottrarsi, spesso in maniera eroica, a un’economia devastata». E così, continua Christin, «andare in vacanza non è più antisistema, anzi è diventato uno dei pilastri del sistema. Insieme alla televisione, agli antidepressivi, al calcio, all’onnipresenza della musica e ai sonniferi, le vacanze rientrano nella gamma di anestetici e di sfoghi istituzionali che la società consumistica elargisce ai suoi cittadini. Sono una ricompensa, come la licenza concessa al soldato per poter sopportare la vita in caserma. Sono una necessità piuttosto che una libertà».

Sono perciò definitivamente tramontati i tempi in cui il viaggio poteva assumere un valore di liberazione dalle dinamiche stesse della società capitalistica come si vede, ad esempio, nel film Rapporto confidenziale (Mr. Arkadin, 1955) di Orson Welles. Il protagonista, un avventuriero e contrabbandiere senza scrupoli, per scoprire l’identità segreta del mefistofelico miliardario mr. Arkadin, compie una vera e propria erranza libera e liberata sulla scacchiera di un’Europa e di un Mediterraneo reduci dalle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale: si sposta,  in modo libero e antigerarchico, ad esempio, da Tunisi a Copenhagen, dalla Spagna a Roma e a Londra. I viaggi del personaggio, compiuti quasi come delle estese ‘derive’ ludiche di matrice situazionista, rappresentano un vero e proprio gioco irridente nei confronti di tutto ciò che è istituzionalizzato, geometrizzato e irreggimentato in un meccanismo di ordine. Egli, in quanto contrabbandiere, fa muovere e viaggiare in modo libero e furtivo anche il proprio corpo esattamente come le merci che contrabbanda. Il libro di Rodolphe Christin ci comunica sommessamente che un tipo di spostamento come questo, adesso, non è più possibile. Qualsiasi mobilità, non solo a scopi turistici, è inglobata nella macina tagliente del capitalismo. Se il personaggio del film cerca in tutti i modi di ostacolare e bloccare la parte più mefistofelica e astuta della società capitalistica, impersonata da mr. Arkadin, adesso, quella stessa società ha inesorabilmente vinto nel tempo e nello spazio.

Nel processo di trasformazione degli spazi, poi, la natura stessa «è diventata un fattore di crescita economica» mentre «la razionalità dominante, ignorando l’immaginario, ha finito per trasformare anche la natura in un mondo artificiale e sofisticato». Riprendendo alcune suggestioni teoriche già proposte dalla Scuola di Francoforte, Christin afferma che l’uomo moderno, allontanandosi sempre di più dalla natura, ha finito con il considerarla un oggetto, separato e lontano da sé. Il dominio dell’uomo sulla natura ha poi sempre più assunto un carattere di assoggettamento e sfruttamento economico: in quanto oggetto, la natura diventa sfruttabile, desiderabile e meta privilegiata per turisti ed esploratori e, infine, anche «tecnocratizzabile», cioè terreno di conquista della tecnocrazia che la sfrutta per finalità economiche ed anche, paradossalmente, ecologiche.

Eppure, nonostante tutto, è ancora possibile fare qualcosa. Se scegliamo l’opzione «rivoluzione» ci sono diverse modalità che possiamo mettere in pratica. Di fronte al turismo e alla mobilità imperanti, si potrebbe scegliere, invece degli spostamenti turistici, di riscoprire veramente l’esperienza del viaggio il quale, oltre a rappresentare un grande archetipo antropologico, possiede anche un approccio diverso ai luoghi. Il viaggio presta maggiore attenzione agli spazi attraversati, «rilocalizza il corpo e risveglia l’attenzione nei confronti del mondo, il che consente di ritrovare lo spirito d’avventura anche in luoghi a prima vista insignificanti». È necessario riappropriarsi di spazi quotidiani, senza alcuna particolarità e renderli importanti in modo libero e socializzante, dei «luoghi di iniziativa popolare, gli unici in grado di restituire incanto alla realtà che ci circonda, ridandole senso e convivialità. Perché sono solo gli usi popolari a reincantare i mondi». Si tratta di riscoprire luoghi anche già conosciuti, anche non lontani; in essi si possono percorrere «le tanti variabili del Reale», esperienze inusitate e sature di arricchimento personale: «il sapersela cavare, l’iniziativa spontanea, conviviale e inclusiva, gli scambi informali, le eccedenze relazionali di varia natura contribuiscono tutti alla creatività sociale, che dà spessore, rugosità e sapore all’esistenza». Scegliere la rivoluzione, rispetto al turismo, vuol dire perciò imbarcarsi nel viaggio di una lucida e radicale rivoluzione culturale che ci levi dalla mente l’idea che il sistema capitalistico sia l’unico possibile.

 

 

Guy Van Stratten

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