Internazionale

Dopo la batosta argentina…

Primo commento

1) Milei ha vinto. Non eravamo in tanti a mettere in dubbio la sua vittoria. Avevamo torto? Non credo proprio. Non essendo notai né scrivani, dovevamo provarci. E ci abbiamo provato. Sicuramente potevamo fare meglio.
2) Lungo la nostra vita possiamo assumere diverse posture: eretta, seduta, in ginocchio, prona, supina … Nel nostro presente cupo e opprimente credo indispensabile assumere una postura eretta, sviluppare un’attitudine a fronteggiare le asperità drammatiche del presente con una opposizione frontale, che proceda dritta davanti al danno, anche quando si è impotenti; una resistenza senza travestimenti che tenga la posizione e renda salda la propria esplicita contrarietà.
3) Posizione eretta, ma non rigida. Bisogna imparare dall’albero perché l’urto del presente possa piegarci senza spezzarci. Vivere come un corpo poroso, essere un sensibile recettore di ciò che avviene intorno a noi, nel mondo prossimo e in quello distante, essere il corpo resistente di una mente che sogna.
4) La peggiore sconfitta è quella che ti rende impossibile continuare a sognare. L’imperativo sognare vale fin quando tutto non sarà come vogliamo. Ovvero, vale per sempre.
5) Francisco “Paco” Urondo, poeta argentino nato nel 1930 a Santa Fe e assassinato dai militari a Mendoza nel 1976, scrisse poco prima dell’imboscata in cui l’uccisero: “Non si vede nessuno in tutto il sud; siamo soli; da soli innalziamo la nostra speranza, da soli rimonteremo questo pantano” (“Nel sud”).
6) Aveva scritto nel 1973, quando era recluso nel carcere Villa Devoto: “Dall’altra parte delle sbarre c’è la realtà, ma anche da questa parte delle sbarre c’è la realtà; la sola irrealtà è la sbarra; la libertà è reale pur se non si sa bene se appartiene al mondo dei vivi, al mondo dei morti, al mondo delle fantasie o al mondo della vigilia, a quello dello sfruttamento o a quello della produzione … Pur se a volte sembra una bugia, la sola bugia non è nemmeno il tradimento. È semplicemente una sbarra che non appartiene alla realtà” (“La verità è la sola realtà”).
7) Da Urondo estraggo due lezioni.
La prima è che ogni pantano può essere rimontato.
La seconda, che la sola irrealtà sono le sbarre che ci impediscono di volare. Di volare perché, diversamente da quella che era la sua situazione, le nostre sbarre essendo dentro le nostre teste, potrebbero essere più malleabili.
Ho poco altro da aggiungere. Ma, probabilmente chi legge attende che cerchi di spiegare il perché della sconfitta. Perciò dico qualcosa cercando di non essere troppo ripetitivo.
Constato, anzitutto, l’enorme distanza esistente tra le aspettative possibili e la verità vera, e cioè tra gli immaginari possibili nella realtà argentina.
Un secolo fa, l’Argentina era uno de Paesi più ricchi del mondo. Oggi è un Paese indebitato, grazie a Macri e al FMI, per i prossimi 100 anni.
Questa dimensione, non congiunturale, sarebbe difficile da commentare diversamente di “un disastro provocato dalla colossale inadeguatezza di una classe dirigente inetta e incapace”. Proprio ciò su cui ha fatto leva Milei.
9) Tuttavia, in quel paese ricco diretto da inetti, è stato creato il solo “Stato sociale” esistente in America Latina. Ed è proprio questo Stato sociale ciò che Milei intende distruggere. Si tratta di privatizzare, per spartirsi i proventi, la sanità, la scuola, le case popolari, il sistema di previdenza, l’assistenza sociale …
In questo senso, l’Argentina di Milei sarà sicuramente più simile al Cile di Pinochet o al Perù di Fujimori.
Non sarà un bel vedere e non sarà indolore. Passata l’ubriacatura, presto lo scopriranno i giovani, gli stessi che hanno votato in massa per Milei.
10) Non c’è nulla da rimproverare ai giovani che, orfani da proposte politiche credibili, hanno seguito l’incantatore di serpenti.
Avviene, è avvenuto, a ogni latitudine.
La responsabilità primaria appartiene sempre a coloro che, togliendo loro ogni possibilità di sognare, li hanno costretti a sopravvivere nell’incubo della precarietà e della povertà al quale, diversamente da molti altri poveracci del mondo, non ci avevano fatto il callo.
Sono giovani che, semplicemente, vogliono poter continuare a sentirsi parte dei leoni, anche della coda di qualche leone spelacchiato.
Potrei solo dire che le illusioni sono dure a morire, anche quando si abita da tempo nel Viale del tramonto.
11) Per ora mi fermo qui, aggiungendo solo che – come ci invita sempre Paco Urondo – e al di la della rabbia – non abbiamo motivo per disperare ma, bensì per cercare di lenire le pene e rinforzarci compartendo le pene con i propri cari, con i propri amici, con i compagni, mangiando in compagnia, tappando porte e finestre per superare l’uragano.
Insomma, certamente il sole sorgerà anche domani, anche per noi, reduci malconci di tante sconfitte.
E, verificato che siamo ancora vivi, che “I morti che avete ammazzato, godono di buona salute”, certamente ripartiremo.
Come? Con chi? Prendiamoci qualche ora per rifletterci. Per quanto mi riguarda, proverò ad avvicinarmi con tentativi successivi. Vi invito a procedere allo stesso modo.
12) Perché veniamo da una vecchia storia che qualcosa dovrebbe averci insegnato, chiudo ricordando l’angelo della storia di Walter Benjamin, il grande filosofo e critico d’arte morto suicida nel 1940 per scappare dei nazisti. Secondo me, ci prende parecchio:
“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese.
L’angelo della storia deve avere questo aspetto.
Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.

Rodrigo Rivas