Novelle

Il vampiro di Stoccolma

Un pomeriggio d’agosto me ne andavo a zonzo per Södermalm, il quartiere sud di Stoccolma, quello più alternativo e più affascinante, almeno per i miei gusti. Fra negozi di abbigliamento vintage e chincaglierie, stanco di camminare, mi sedetti su un panchetto di fronte alla birreria “Il calciatore verde”, insieme a moltissimi svedesi, appollaiati su trespoli e su panchetti, tutti intenti a sorbirsi la loro birrozza aperitivale. Notai lì vicino un biondo dallo sguardo svanito, che subito scambiai per uno svedese purosangue ma che poi si rivelò come tedesco. Parlava un buon italiano e mi consigliò la Nordiska, un’ottima birra svedese, e cominciammo a parlare. Era un po’ di tempo che stava a Stoccolma e conosceva bene la città: dopo avermi indicato dei luoghi interessanti da visitare, il suo sguardo si incupì e si fece serio. A dire il vero, notai nel suo volto un non so che di malato e di triste, come se il suo fisico fosse stato minato da una malattia che lo aveva reso pallido e smunto. Dopo un sorso alla sua terza Nordiska, Hans (così si chiamava) si raccomandò che non uscissi a Stoccolma nelle serate di vento. E perché mai? Dissi sorpreso. Perché il vampiro gira veloce nel vento e cattura le sue prede, mi rispose.

Vampiro? Pensai subito che il giovane tedesco fosse pazzo, che avesse lasciato il suo senno sui cupi moli di Stoccolma, sulle guglie verdastre dei palazzi del centro, fra gli sghembi muri di Gamla Stan. Eppure, così continuò: “Credimi, ti prego, non mi sono sperduto nei sentieri della follia, in questo estatico Nord. Il vampiro esiste. Giunsi qui due anni fa, con una borsa di studio di archeologia all’università e mi occupai di alcuni scavi nell’antico quartiere di Gamla Stan. Sotto una casa dal colore rosso si trovò uno strano sarcofago, in cui era presente una statuetta di cera, miracolosamente conservata. Era un vampiro, avvolto nel suo tetro mantello, dallo sguardo sanguinolento. Il capo della spedizione archeologica disse che assomigliava vagamente a Yoda, il personaggio di “Guerre stellari”, ma io ero sicuro che fosse un vampiro. Da quel momento fui tormentato da incubi finché, una sera d’autunno in cui un forte vento si era sollevato quasi all’improvviso, mi sentii avvolto in un abbraccio cupo. Era lo stesso vento che mi avvolgeva e che non mi dava tregua, sui moli, mentre mi dirigevo al mio appartamentino di Södermalm: un vortice mi prese e quasi mi fece perdere i sensi; mentre cadevo a terra vidi il terribile volto del vampiro, avvolto nel suo nero mantello. Potei capire che lo stesso stava avvenendo ad altri rari passanti che in quel momento si trovavano sui moli di fronte al Baltico cupo: traballavano e lentamente cadevano a terra.

Quello che successe dopo non saprei dire bene: mi sentivo volteggiare e contemporaneamente percepivo che mi muovevo come un automa, come un semovente Golem dell’incubo attraverso antichi vicoli notturni, e camminavo incessantemente ripetendo all’infinito i miei meccanici movimenti. Ugualmente, vedevo intorno a me una massa di zombi, di esseri che si muovevano come spinti dal caso. Era il vampiro, divenuto vento, che ci aveva clonati in tetri doppi e ci aveva condannati a vagare nelle strade deserte del centro storico, perduti in un truce incantesimo. Dopo questa esperienza rimasi come paralizzato e stetti a letto per tre settimane. Finita la convalescenza, non osavo più mettere piede a Gamla Stan finché una sera fui costretto ad andarci perché un amico svedese voleva che provassi a tutti i costi una birra speciale, la Nordiska, quella che sto bevendo adesso – e mi mostrò il ridondante boccale – e così ci inerpicammo per le viuzze del quartiere. La birreria si trovava nella via principale e per arrivarci passammo davanti a un negozietto che vendeva statuette di cera d’api: quale fu il mio orrore quando vidi, nella vetrina, una statuetta che riproduceva il vampiro, identica a quella che avevo rinvenuto negli scavi. Entrai nel negozio e chiesi informazioni ma la commessa mi disse che non riproduceva affatto un vampiro, assolutamente, era invece una riproduzione di Yoda, il personaggio di “Guerre stellari”! Fuggii spaventato e mi rintanai in birreria col mio amico ad annegare l’orrore in una decina di birre.

Il tedesco terminò di raccontare e si fece silenzioso, e il suo silenzio era tutto una contemplazione del boccale color oro che teneva in mano. La convinzione che fosse pazzo si era fatta sempre più salda in me e, dopo aver finito la mia Nordiska, lo salutai amichevolmente. Mi diressi verso l’antico quartiere di Gamla Stan, incuriosito dal racconto di Hans, e volli percorrere la via principale, fra frotte di turisti di tutto il mondo, fra orientali che facevano foto tramite smartphone collegati a ipertecnologici bastoncini a stantuffo, fra volgari italiani dall’accento romano (gli italiani all’estero – ahimè – li riconosco subito), fra spagnoli urlanti e brancolanti, fra francesi e tedeschi infervorati dall’acquisto di souvenirs. In tutto questo non c’era manco il naso d’uno svedese. Era la via del commercio, ove gli antichi palazzi aprivano i loro ventri terragni a fondachi illuminati a giorno e intrisi di chincaglieria e di ricordini turistici: cappellini, pupazzetti, Pippi Calzelunghe, trolls, riproduzioni in miniatura di antichi palazzi, automobiline, tazze, quadretti con scritto “Fika” (che in svedese significa “pausa”, “merenda”) realizzati apposta – sembra – per i volgari italiani di cui sopra con un altrettanto volgare doppiosenso, portachiavi e portamonete, tovaglioli e lenzuola e coperte, magliette, accendini, trenini, pantaloncini, gioiellini, stampe, quadri, quadretti, sfere di vetro con la neve, orsacchiotti, peluche, renne di pezza e di cartapesta (le uniche possibili dopo la loro estinzione), orsi polari e orsi bruni, vichinghi di stoffa, marinaretti di coccio colla pipa in bocca, navi e navicelle, barchette e barconcini.

Ero nauseato da questo angolo di Stoccolma gentrificato e monetizzato, e me ne volevo tornare a Södermalm quando la mia attenzione fu attratta da una vetrina, meno agghindata e fastosa delle altre, che vendeva statuette realizzate in cera d’api. Era il negozio di cui mi aveva parlato Hans! Mi avvicinai e vidi in bella esposizione una statuetta che raffigurava Yoda, il personaggio di “Guerre stellari”, in una cupa veste nera. Probabilmente era lo stesso che aveva visto il povero giovane tedesco. Mi affrettai a rientrare al quartiere sud, a riempirmi gli occhi di quelle meravigliose strade dove perlopiù giravan solo svedesi, quando all’improvviso si alzò un forte vento che sembrava avvolgermi alle spalle. Con un oscuro presentimento, affrettai il passo verso i moli e verso i ponti gettati sul Baltico intriso d’un azzurro cupo.

gvs