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Livorno Calcio: ora evitare il “modello Messina”

di Nello Gradirà

“Pronto dottor Mastrangelo?” “Sì, chi parla?“ “Sono Salvetti il sindaco di Livorno, volevo chiederle a quanto ammonta il deficit del Livorno” “A tre milioni” “Ah grazie, mi stia bene” “Arrivederla”.

È bastata una telefonata di questo genere, che sarà durata due minuti, per capire la reale situazione finanziaria del Livorno.  A quanto pare non era necessario nominare un revisore per esaminare questo misteriosissimo e complicatissimo bilancio, come avevamo proposto molto tempo fa, perché il revisore che c’è già non ha mostrato nessuna reticenza e ha fornito tranquillamente tutte le informazioni.

Così è caduta definitivamente un’altra delle tante balle di Spinelli, quella dei bilanci cristallini. Per anni abbiamo assistito a campagne acquisti ridicole o deprimenti sempre giustificate con la necessità di tenere i conti in ordine. Ora scopriamo che invece il Gabibbo giallo è riuscito ad andare abbondantemente in rosso anche senza spendere una lira per i giocatori. Saranno stati i compensi per la carica di amministratore delegato affidata a quel genio di Robertino, o forse le commissioni per i procuratori, spese per le quali il Livorno nel 2020 risultava al terzo posto in tutta la serie C. Magari alla Guardia di Finanza verrà voglia di dare un’occhiata, chissà…

Una domanda sorge spontanea: ma tutti i violinisti di Spinelli che in questi anni avevano raccontato la bufala dei bilanci cristallini l’avevano letto il bilancio del Livorno o parlavano per sentito dire? O era pura piaggeria nei confronti del padrone di turno? E tutti i giornalisti -professionisti o dilettanti- che girano intorno al Livorno non potevano chiamare loro il revisore prima di scrivere stupidaggini?

Nel frattempo -meglio tardi che mai- siamo arrivati anche alla revoca della concessione dello stadio all’Atletico Spinelli. Noi l’avevamo chiesto nell’agosto 2020, dopo la retrocessione in C, quando si era già capito dove si andava a parare, anche prima che si sfondasse il muro del ridicolo con l’arrivo a Livorno dei vari scaramacai da Banca Cerea in giù.

Spinelli non pagava lo stadio dal 2018, nonostante un canone annuo di tutto favore (meno di 10mila euro), e anche questo per l’amministrazione comunale era facile verificarlo. Ciò nonostante la Giunta Nogarin, dopo cinque anni di immobilismo sul Livorno calcio, prima di sloggiare aveva visto bene di rinnovare la convenzione, e la Giunta Salvetti finché proprio la situazione non è degenerata non si è preoccupata del fatto che ci fossero affitti da pagare per centinaia di migliaia di euro. Eppure le disposizioni della convenzione consentivano di recedere per inadempienze molto meno gravi, e questa sarebbe stata una carta importante da giocare anche nei confronti della Lega Pro, a cui interessava soltanto la regolarità del campionato.

A Livorno purtroppo esiste una regola non scritta per cui tra i vari “poteri” cittadini gli affari si regolano nelle segrete stanze, e fino a quando è possibile si deve evitare ogni contrapposizione alla luce del sole. Del resto gli equilibri della politica livornese sono sempre stati fortemente influenzati dalle vicende del Livorno; basti pensare a quanto il sindaco Lamberti aveva investito in termini d’immagine sulla venuta di Spinelli, o alla carriera politica dell’ex telecronista Vezio Benetti o anche al curriculum dell’attuale sindaco Salvetti.

Ora comunque la priorità è liberarsi definitivamente della famiglia Addams chiamata da Spinelli a distruggere scientificamente il Livorno. L’ultima notizia è che per evitare il fallimento ci dovrebbe essere una ricapitalizzazione.

Mesi fa, quando abbiamo parlato delle analogie tra le vicende attuali del Livorno e quelle avvenute a Parma nel 2014, abbiamo ricordato che l’ex presidente dei crociati Ghirardi aveva tentato un’operazione simile a quella di Spinelli, vendendo la società a un gruppo albanese che a sua volta l’aveva ceduta per un euro a Giampietro Manenti, un improbabile avventuriero che poco dopo finì in galera. Ghirardi aveva cercato di  tirarsi fuori da una situazione debitoria ben peggiore di quella del Livorno di oggi. L’operazione non riuscì e Ghirardi fu condannato per bancarotta fraudolenta. È quindi legittimo pensare che Spinelli, prima con il pagamento della fideiussione (“Spinelli ha salvato il Livorno”, titolavano i violinisti) e ora con la ricapitalizzazione, stia cercando di evitare il ripetersi del caso Parma.

Dei finti dissidi tra gli attuali soci ci interessa poco, tanto l’unico che conta è Spinelli. È lui il regista dell’operazione e francamente, se dovesse servire per liberarcene in maniera definitiva, spereremmo nel fallimento. Anche perché non vorremmo che con un ultimo colpo di coda il Gabibbo giallo vendesse a qualche prestanome di gruppi poco trasparenti o al Manenti di turno (del resto il suo “alleato” Silvo Aimo con Manenti ha collaborato davvero).

È vero però che un imprenditore con una discreta potenzialità economica potrebbe puntare su una ristrutturazione e rateizzazione del debito e rilevare la società anche ora, senza passare per un fallimento.

Sembra essere questo il caso dell’indiano Maurya che allo stato attuale appare l’unico potenziale acquirente credibile, ben diversamente dai vari Favilla e Popovic che alle spalle hanno degli insuccessi imprenditoriali pesanti, per non dire di peggio. Il progetto di Maurya sembra basarsi sullo sviluppo del settore giovanile e per quanto se ne sa è veramente interessante. Ma ormai, ammaestrati dalle varie esperienze negative del passato, prima tra tutte quella di Yousif, sappiamo che è necessario studiare vita morte, miracoli e conti in banca di ogni possibile nuovo proprietario della società perché stavolta veramente è in gioco la sopravvivenza del Livorno.

In questo quadro si inseriscono anche le proposte di “Livorno popolare” e del gruppo che si è aggiudicato i diritti per l’utilizzo del logo dell’Unione Sportiva Livorno.

Per quanto riguarda l’azionariato popolare abbiamo già detto la nostra: se si tratta di un azionariato popolare puro le potenzialità sono al massimo quelle di un’onesta serie D, e noi il Livorno lo vogliamo vedere di nuovo a San Siro o all’Olimpico. Se si tratta invece di un azionariato misto, dove la maggioranza delle risorse le mette un imprenditore forte, allora potrebbe avere un ruolo partecipativo ma comunque resterebbe marginale. Anche perché è difficile credere che esista un Babbo Natale che investe qualche milione di euro e accetta di contare quanto chi mette tremila euro. In questo senso l’azionariato popolare rischierebbe di rappresentare solo un paravento del socio di maggioranza. Niente vieta invece che una volta subentrato un nuovo proprietario si concludano accordi per la gestione del settore giovanile, del merchandising ecc.

In questi giorni sia Livorno Popolare che il gruppo “U.S. Livorno” stanno valutando l’idea di abbandonare al suo destino l’A.S. Livorno di Spinelli e ripartire con l’acquisizione del titolo sportivo di una società dilettantistica. Noi crediamo che questa sia una prospettiva da evitare: il rischio è che si ripeta il “modello Messina”, città dove i molteplici fallimenti della società tradizionale hanno creato una situazione in cui due squadre (A.C.R. Messina e F.C. Messina, nella foto un’immagine del derby), militano in serie D, entrambe si proclamano veri eredi della squadra che è stata in serie A (e che a sua volta aveva rilevato il titolo sportivo dell’U.S. Peloro) ma né l’una né l’altra riescono a tornare nel calcio che conta.

Per noi l’Unione Sportiva Livorno è la squadra di cui attualmente si è appropriata la famiglia Spinelli, che la chiama A.S. Livorno Calcio. L’obiettivo è quello che Spinelli se ne vada e che la società possa ripartire con il proprio nome e i propri colori. Altre squadre (Pro Livorno, Picchi, Bar Terzo…) che ne prendessero il nome non sarebbero mai il nostro Livorno. Queste operazioni sarebbero destinate solo a generare confusione.

Un’ultima annotazione si impone su colui che dopo Spinelli è il maggiore responsabile di questa situazione e cioè il presidente della Lega Pro Ghirelli, che proprio in questi giorni -a dimostrazione di quanto conta- ha incassato un’altra sconfitta con l’estromissione delle squadre di C dalla Coppa Italia. È veramente assurdo che la Lega Pro non riesca ad impedire che sempre gli stessi personaggi screditati girino intorno a gloriose società in difficoltà economiche per tentare qualche speculazione. La Lega si limita a punire le società con qualche punto di penalizzazione che non fanno altro che falsare i campionati, umiliare i tifosi e rendere ancora più difficile la risalita ad eventuali nuove proprietà. Cosa volete che importi a un Lamanna o un Heller dei punti di penalizzazione, quando sono stati chiamati proprio per distruggere una società? Possibile che non si riesca a tenerli lontani dal calcio? Di recente si parlava addirittura del ritorno di Ghirardi (a Brescia). E così ogni anno società che hanno fatto la storia del calcio falliscono e spariscono. Ma del resto parliamo del calcio di Tavecchio e Lotito…