Lo stato dell’arte dell’economia mondiale III
Chi paga le perdite delle banche centrali per i sussidi concessi alle banche private?
Parte seconda
I tassi d’interesse di ogni nostro giorno
“Era ottobre. Una mattina difficile da cavar fuori, anche per un uomo come lui che era sopravvissuto a tante mattine come quella. Per cinquantasei anni – da quando era finita l’ultima guerra civile – il colonnello non aveva fatto altro che aspettare. Ottobre era una delle poche cose che arrivavano”.
Gabriel García Márquez, “El coronel no tiene quien le escriba”, 1961. Tr. it. “Nessuno scrive al
colonnello”, 1968)
“Ogni volta che si fa una storia si parla di un vecchio, di un bambino o di sé stessi. Ma la mia storia è difficile. Non vi parlerò di un uomo comune. Farò la storia di una creatura di un altro mondo, di un animale della galassia. E’ una storia che si rapporta al corso della Via Lattea.
E’ una storia interrata, tratta di un essere del nulla”.
Silvio Rodríguez, “Canción del elegido” (Canzone del prescelto), 1976.
Nelle attuali condizioni economiche aumentare i tassi d’interesse è misura utile e necessaria
solo per sovvenzionare le banche. Per loro è sempre ottobre. Fanno eccezione le non poche banche in cui la dirigenza era/è del tutto inaffidabile e, di solito, rubano esageratamente per sé, per gli amici e per gli amici degli amici. Essendo depredate, queste banche possono saltare facilmente per aria, come avvenuto recentemente. Ma avviene per troppi furti e incompetenze. Ci tornerò nella prossima puntata di questa serie.
Che sia indispensabile aumentare i tassi d’interesse per combattere l’inflazione è invece una falsità. Forse nessuno scrive al colonnello banchiere ma, come già detto, per le banche ottobre e manna arrivano sempre. Estremamente terrene, il sistema bancario applica un capitolo della sua tavola della legge. Tavola utile alla pratica dello esproprio proprietario universale e permanente.
L’inflazione,invece, si può diminuire per altre vie.
Gli aumenti di prezzi sono iniziati nel 2021. Naturalmente, le banche centrali se ne accorsero, ma raccontarono – probabilmente era la loro interpretazione legittima, la loro “vera verità”, che sarebbe stata passeggera e di scarsa importanza.
Jerome Powell, allora ed oggi presidente della FED: “L’inflazione è transitoria (…) Siamo certi che diminuirà nei prossimi mesi” (“What did powell say about inflativo” giugno 2021).
Il FMI: “I prezzi ritorneranno ai livelli registrati prima della pandemia a metà del 2022” (“World Economic Outlook. Recovering During A Pandemic”, ottobre 2021).
Travestita da Babbo Natale, l’ineffabile Christine Lagarde affermava (dicembre 2021): “Sono assolutamente convinta che l’inflazione crollerà nel 2022”. Commentava il quotidiano “La Stampa”: “Christine Lagarde non teme l’inflazione e conferma la linea accomodante. Il programma pandemico di acquisti finirà nel marzo 2022, ma il sostegno a banche e famiglie resterà attivo almeno fino a fine 2024” (“La Bce non segue la Fed, gli stimoli continueranno ancora fino al 2024”).
Evidentemente i compari si sbagliavano.
Il difetto è nel manico: si sono sbagliati e sbagliano perché spiegano l’aumento dell’inflazione con teorie che non funzionano, coi presupposti delle tesi monetariste che i fatti hanno dimostrato irreali.
Non considerano, invece, fattori che evidentemente provocano gli aumenti di prezzi ma, perché “piutost che nigot, l’è mej piuttosto” (piuttosto che niente è meglio piuttosto), nascondono la loro inadeguatezza con tamponi, aumentando i tassi d’interesse.
Come già osservato, non si tratta solo di un errore ma di è una terapia inutile e dannosa per imprese e famiglie e utile ai grandi monopoli e alle banche.
Negli ultimi mesi sono cambiate alcune circostanze (ad esempio sulla pandemia). L’inflazione è entrata in una fase nuova, ma le autorità perseverano diabolicamente con lo stesso trattamento.
Si tratta, secondo loro, di un fenomeno derivato dall’eccesso di domanda che, come ho già spiegato, comporta una politica rivolta a diminuire la domanda, la spesa della popolazione.
Il linguaggio ovattato permette di dire molte cose quando invece si deve affermare che applicare una tale politica in una situazione di crescenti difficoltà per le famiglie, specie per sostenere le spese legate alla sopravvivenza, beni alimentari e farmaceutici anzitutto, è criminale.
I conservatori ripropongono perennemente le stesse risposte. In questo senso, siamo sempre al trattamento con sanguisughe.
Fino alla scoperta dei batteri e di conseguenza fino al cambiamento della dottrina terapeutica, in Europa si costruivano fortune importando sanguisughe dal Medio Oriente. Ad esempio, nel solo 1928 la Francia ne importò 100 milioni dal Medio Oriente.
Oggi, banche, cultura dominante e pubblicità usano sanguisughe metaforiche propagandate da maghi, streghe, buffoni e qualche professore, per certificare la bontà delle loro proposte.
Il contributo di un pittore fiammingo e l’assassinio di un presidente
“Avevano pensato non senza ragione che non c’è punizione più terribile di un lavoro inutile e
senza speranza”
Albert Camus, “Le Mythe de Sisifo. Essai sur l’absurde”, 1942 (tr. it. Il mito di Sisifo, 2013)
Secondo me, Pieter Bruegel “il vecchio” può ispirarci una versione aggiornata del suo “La lotta tra Carnevale e Quaresima” (1559).
Tuttavia, perché purtroppo Bruegel appartiene da 5 secoli alla categoria degli zamani, posso solo immaginare quali sarebbero i motivi, i personaggi e le situazioni dietro alla nuova versione del suo dipinto, oggi conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Meritatamente famoso da secoli, il quadro è facilmente rintracciabile in qualsiasi enciclopedia.
Rappresenta un anonimo paese fiammingo. Per comodità, uso come riferimento una vecchia città fiamminga: Bruxelles.
Nella brulicante Grand Place va in scena un combattimento simbolico tra Carnevale e
Quaresima. Il Carnevale è un uomo grasso a cavallo di un barile, circondato da succulente pietanze. La Quaresima una donna smunta e pallida, che usa come “lancia” da opporre allo spiedo coi polli infilzati del rivale, una pala con due aringhe. Il Carnevale è spinto da due uomini in maschera, la Quaresima trainata da un frate e da una monaca.
Il quadro è diviso in due parti. A sinistra, i personaggi del Carnevale sono intenti a mangiare,
bere, giocare a dadi e rappresentare scene teatrali burlesche tipiche del festoso periodo
carnevalesco. Al fondo si vede un’osteria. La identifico nella taverna “Charles V, Roi d’Espagne”, che oggi occupa la stessa posizione.
A destra, i personaggi della Quaresima inscenano sacrifici e sofferenze. Al fondo ci sono una chiesa e un campanile. Identifico la prima nella Chapelle Madelaine (Cappella Maddalena) e il campanile in quello della “Cathédral des Saints Michel et Gudule” (Cattedrale dei Santi Michele e Gudula).
Nella parte alta del quadro ci sono due palazzi, uno ad ogni lato. Sono gli attuali “Maison du Cygne” (Casa del cigno) e “Maison du Pigeon (Casa del piccione).
La “Maison du cygne” era l’osteria frequentata da Karl Marx durante la fase del suo esilio
belga (1845-1848). Proprio lì ricevette dalla Lega Comunista l’incarico di redigere il “Manifesto
comunista”. Continua ad essere un’osteria.
La “Maison du pigeon” era la sede della Corporazione dei pittori che la cedette come abitazione a Victor Hugo durante il suo esilio a Bruxelles (1852). Hugo ne scrisse “Napoleon le petit”, dove Napoleone III diventa “ladro”, “criminale”, “imbroglione” “il peggiore degli uomini”… Oggi, col nome Leonidas, si vendono delle ottime pralines (cioccolatini belgi).
Va da sé: per colpa del “Manifesto” e del “Piccolo Napoleone”, Marx e Hugo persero il loro status di esuli in Belgio e dovettero scappare in Inghilterra.
Al centro del dipinto si vede una coppia di spalle composta da un buffone e da una donna con
una lanterna spenta legata in vita. Per gli studiosi, probabilmente allude all’avanzare al buio
dei due principali credo religiosi europei dell’epoca: il Cattolicesimo, simboleggiato dalla
Quaresima, e il Luteranesimo, rappresentato dal Carnevale (ho dei dubbi sul fatto che il Luteranesimo fosse così ridanciano a quell’epoca).
Comunque, probabilmente poiché nei giorni in cui imperava questo clima chiassoso e sarcastico tutti potevano credere a qualcosa, entrambi i carri sono guidati da follie e vizi.
Nell’indifferenza generale, le uniche figure realistiche sono i poverissimi mendicanti sparsi qua e là, sia dalla parte dei festeggianti che da quella dei penitenti. Si tratta di mendicanti locali, non essendo ancora iniziato il genocidio congolese.
Dovette accontentarvi col dente
Dente che non devi usare, lascialo stare (Mia indegna alterazione di un adagio popolare)
La colonizzazione del Congo ebbe inizio soltanto alla fine del XIX secolo. Gli Stati europei si spartirono l’Africa, il Belgio concentrò i suoi interessi politico-economici in un solo Paese situato nel cuore del continente. A posteriori, qualche parlamentare buontempone (non sono un’esclusività italiana) ha sostenuto che, in quanto piccola nazione europea, il Belgio aveva bisogno di dominare un grande e ricco Stato. Queste “necessità geopolitiche” e la illimitata avidità del re Leopold II (1835-1909), resero il colonialismo belga uno dei modelli di dominazione più violenti e brutali che la storia africana abbia conosciuto.
La Conferenza di Berlino (1884-1885) concesse a Leopold II di occupare quei territori. Nacque così lo “Stato Libero del Congo”, un’entità politico-amministrativa proprietà personale del re, per “facilitare la missione civilizzatrice e umanitaria degli europei” che, costretti dalla loro bontà – che qualche diffamatore chiama paternalismo ed eurocentrismo – dovevano assumersi “il pesante fardello dell’uomo bianco”: “civilizzare le popolazioni primitive”.
Applicando il copione universale, per assolvere questa missione interi villaggi furono ridotti in cenere e milioni di bambini, donne e uomini, furono mutilati o uccisi. Leopold II dovrà cedere la sua “proprietà personale” allo Stato belga nel 1908, ma il colonialismo proseguì per altro mezzo secolo ed i suoi effetti fino ad oggi.
Comunque, nulla cambia fino alla comparsa sulla scena del seminarista Patrice Lumumba, il primo e per oltre quarant’anni l’unico dirigente politico democraticamente eletto nel Congo. Diventò primo ministro il 23 giugno 1960. Fu assassinato il 17 gennaio 1961.
L’assassinio, di caratteristiche prettamente mafiose, fu opera di truppe belghe e da mercenari assoldati dalle multinazionali. Il tutto sotto gli occhi compiacenti dei caschi blu dell’ONU.
Nel 2001, 40 anni dopo l’omicidio di Patrice Lumumba, del ministro degli Interni Maurice Mpolo e del presidente del Senato Joseph Okito, il parlamento belga ha nominato una commissione d’indagine. Previa garanzia di totale immunità, il generale Gerard Soete ha raccontato: “Avevamo fucilato Lumumba nel pomeriggio. Poi tornai nella notte con un altro soldato, perché le mani dei cadaveri spuntavano ancora dal terriccio. Prendemmo l’acido che si usa per le batterie delle automobili, dissotterrammo i corpi, li facemmo a pezzi con l’accetta; poi li sciogliemmo in un barile, facendo tutto di fretta, perché non ci vedesse nessuno”.
Nel 2002 il governo concluse: “Alla luce dei criteri applicati oggi, alcuni membri del Governo di allora ed alcuni personaggi belgi dell’epoca portano una indiscutibile responsabilità nella morte di Patrice Lumumba. Il Governo considera perciò appropriato porgere alla famiglia di Patrice Lumumba e al popolo congolese il proprio profondo e sincero rincrescimento e le proprie scuse per il dolore che è stato loro inflitto da quell’apatia e da quella fredda neutralità”.
Ma, poiché alla generosità non c’è limite, oltre alle “profonde e sincere scuse, i congolesi ricevettero dai belgi un dente di Lumumba, conservato come souvenir da un caporale belga, oggi custodito nel Mausoleo Patrice Lumumba, a Kinshasa (“Il dente di Lumumba: il Belgio restituirà l’ultima reliquia del primo ministro del Congo ucciso 61 anni fa, “La Stampa”, 6 giugno 2022).
Chiudo questo capitoletto tornando un attimo a Bruegel. Non scelgo il cast della rappresentazione odierna, sul quale invito chi legge a sbizzarrirsi, salvo per quanto riguarda le due figure al centro della scena: “La donna del Pfizergate”, al secolo Ursula von der Leyen, e “Il congolese”, al secolo Charles Michel.
Michel, malgrado le apparenze, è stato lautamente beneficiato dal “pesante fardello”. Infatti, non ha trovato di meglio che definire re Leopold II “un eroe visionario”.
Lascio la risposta a Wikipedia: “Resoconti di sfruttamento selvaggio e diffuse violazioni dei diritti umani (incluse schiavitù e mutilazioni, eseguite queste ultime in particolare quando le produzioni della gomma non rispettavano i quantitativi richiesti) della popolazione nativa, specialmente nell’industria della gomma naturale (caucciù o ficus elastica), portarono alla nascita di un movimento internazionale di protesta già nei primi anni del Novecento. A peggiorare poi la situazione erano le frequenti epidemie di vaiolo e malattia del sonno che devastarono la popolazione a più riprese a partire dal 1896 … Stime sulle perdite umane oscillano fra i 3 e i 10 milioni di morti e molti storici considerano le atrocità commesse tali da costituire un genocidio.
Conclusione ovvia: come altri ministri europei, l’attuale presidente del consiglio europeo non ha imparato a leggere.
Ritorno alla nostra “scienza triste”
“Infine, la nostra vita appartiene al genere realistico o al genere fantascientifico? Non sarà che ci commuove la letteratura fantastica perché la nostra vita è una fantastica finzione?”
Jorge Luis Borges, “Conferenza sulla literatura fantástica”, Juan Zapato, “El País”, Montevideo,
2 dicembre 1949
Secondo la teoria monetarista, essendoci troppa domanda in giro, bisogna abbassarla.
Questa dolce espressione cardinalizia afferma che bisogna abbassare il tenore di vita delle popolazioni. I pubblicitari la trasformano in “la verità del carrello della spesa”.
“Il carrello pensante” avrebbe, quindi, una sua verità: i prezzi aumentano inesorabilmente.
Non solo è una bestialità concettuale ma in sostanza equivale a dire che quando piove tutti si bagnano. Forse tuona pure ma, come tutti sappiamo, le banche ti offrono l’ombrello quando c’è bel tempo e te lo richiedono indietro quando piove.
Se potessi parlare cin i signori banchieri suggerirei loro di leggere quanto scritto da John Steinbeck, statunitense e premio Nobel per la letteratura:
“Le imprese potenti non sapevano che la linea divisoria tra fame e rabbia è molto sottile. Quindi, il denaro che avrebbe potuto essere destinato ai salari lo destinarono a gas velenosi, armi, agenti e spie, a liste nere e a istruzione militare. Sulle strade la gente si muoveva come formiche alla ricerca di lavoro, di cibo. E l’ira cominciò a fermentare”. (“The Grapes of Wrath”, tr. it. “Furore”, 1939).
Contrariamente a quanto affermano le banche centrali, l’inflazione in corso deriva da una serie di fattori che hanno a che fare più con l’offerta che con la domanda. Tra questi, la pandemia, il blocco dei canali di approvvigionamento, la mancanza di concorrenza tra le aziende derivata dallo sterminato potere dei monopoli, i costi associati al cambiamento climatico e la speculazione finanziaria…
Lo dice persino qualche centro studi delle banche. Ad esempio, Patrick Artus, direttore di ricerca e studi della banca francese Natixis, ha scritto il 3 marzo 2023:
“Negli Stati Uniti l’inflazione deriva soprattutto dai prezzi degli immobili. In Europa dai margini imprenditoriali e dai costi salariali” (“Why is a restrictive monetary policy rather ineffective in fighting (core) inflation”).
Precisava ulteriormente l’8 marzo 2023: “Sono necessari sei trimestri perché gli aumenti dei tassi d’interesse producano prima la diminuzione della crescita, poi un calo della disoccupazione e, infine, una diminuzione dell’inflazione sottostante. Per cui, l’effetto dell’aumento dei tassi d’interesse messo in campo è stato nullo riguardo all’inflazione sottostante” (“Core inflation will fall rapidly in the United States because it is linked to real estate prices, and slowly in the euro zone because it is linked to labour costs and corporate profit margins”).
Siamo nella fase, lunga, d’impoverimento della popolazione. Coi soliti bizantinismi lo afferma persino la Banca Mondiale:
“La crescita mondiale diminuirà al 1,7% nel 2023 … Questa diminuzione è in parte dovuta all’applicazione di politiche restrittive per frenare l’alta inflazione. Shock negativi, come una maggiore inflazione, politiche più restrittive o tensione finanziaria, potrebbero spingere l’economia mondiale a una recessione. Sono necessarie misure immediate per mitigare i rischi di recessione mondiale e di eccessivo indebitamento. E’ essenziale che i responsabili di formulare le politiche garantiscano che l’appoggio si focalizzi nei gruppi vulnerabili, le aspettative inflazionarie si mantengano ben ancorate ed i sistemi finanziari continuino ad essere resilienti” (BM, “Global Economical Prospects”, gennaio 2023).
Tra gennaio ed oggi tutto conferma il peggioramento.
Che dite; c’entrerà qualcosa con gli enfasi guerreschi?
In Europa, per frenare l’inflazione sottostante lo strumento più adeguato è la politica dei redditi.
Persino ai banchieri calvi si drizzano i capelli pensando ad uno esproprio proletario. Invece, uso l’espressione in modo estremamente soft: usare la politica dei redditi significa determinare le quote di responsabilità dei profitti imprenditoriali e del costo del lavoro, cercando un equilibrio che garantisca la sopravvivenza delle aziende non inflazioniste (eliminando i costi eccessivi prodotti dall’inflazione) e il mantenimento del potere d’acquisto delle famiglie.
Viceversa, continuando ad aumentare i tassi d’interesse – come ripete, la presidente della BCE ad ogni pie sospinto, con l’accordo dei governi europei – si rinforzerà l’inflazione a breve scadenza e si beneficeranno, come sempre, le banche.
Il conto, salato, si esprimerà sotto forma di aumento del debito delle famiglie e delle aziende.
Conclusione
“Una vecchia bretone, con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù. Capitani coraggiosi, furbi contrabbandieri macedoni. Gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori, della dinastia dei Ming.”
Franco Battiato, “Centro di gravità permanente”, 1981.
Dopo la moltiplicazione della fame planetaria dovuta alla brutale speculazione del 2010-2011, il Governo statunitense e la Commissione Europea comunicarono urbi et orbi che avevano deciso di agire per frenare definitivamente la speculazione.
Purtroppo, più in Europa che negli USA, troppo occupati a correre dietro ai grandi gruppi di pressione, non hanno potuto prendere alcuna misura.
Oggi è indispensabile e urgente prenderle. Indispensabile e urgente per mantenere una convivenza civile perché ad un certo punto – iniziano a dimostrarlo le grandi mobilitazioni
francesi contro l’aumento dell’età pensionabile in corso – i teatrini mediatici non reggeranno, l’estrema passività di alcune popolazioni non potrà essere garantita e diventerà impossibile continuare a giocare impunemente col diritto a mangiare della metà della popolazione, ivi incluse fette sempre maggiori della popolazione nativa o residente nei paesi arricchiti.
Il punto da cui partire è semplice e obbligatorio: la speculazione sui beni essenziali, come il cibo e/o i medicinali, deve considerarsi e punirsi come un crimine economico contro l’umanità.
Viceversa, i guardiani della ortodossia ed i tonti utili loro seguaci ripetono gli errori derivati dalle loro cattive letture (ammesso, ma non concesso, che i tonti utili leggano).
Errori pagati a caro prezzo dalle popolazioni e dalle imprese. Ad esempio, per limitarci alle misure attualmente in corso, l’acquisto d’oro beneficerà soltanto i più ricchi e mantenere la retribuzione sui depositi serve soltanto alla banca privata.
In nome della ortodossia neoliberista, alle banche centrali sono stati concessi totale indipendenza e pienezza di poteri per combattere l’aumento dei prezzi e garantire la stabilità
del sistema finanziario.
Tuttavia, basta osservare la cronologia per verificare che, proprio nel periodo in cui le banche centrali hanno goduto di questi privilegi, si è verificato il maggior numero di crisi bancarie e
d’indebitamento di tutta la storia contemporanea.
A queste crisi, si sono recentemente aggiunti i maggiori aumenti dei prezzi degli ultimi 50/60 anni.
Ovvero, le banche centrali fanno male il loro mestiere, provocando perdite che dovranno essere pagate da popolazioni che, non a caso, vengono disciplinate a priori con ripetute misure caratterizzate da estrema crudeltà.
Bisogna ammonire le banche centrali, chiedere loro di presentare i conti e mettere fine alla loro indipendenza dai governi.
Concludo sottolineando due temi, non congiunturali, di assoluta centralità per chiunque sia interessato a ricostituire un pensiero progressista.
1) Gli enti finanziari sono una espressione paradigmatica di privilegio e potere di mercato che danneggia l’economia.
I loro privilegi, che si traducono in profitti straordinari per “l’1% ed i suoi paggi”, si scaricano – spesso in dimensioni insopportabili – sulle imprese e sulle famiglie.
Con questo andazzo, le prime sono destinate a chiudere o ad aspettare che passi ‘a nuttata.
Le seconde saranno condannate a pagare salate spese finanziarie, ad esempio per i mutui per la casa, direttamente destinati alle tasche dei banchieri il cui comportamento da rentista è
contrario al progresso generale e alla logica che dovrebbe governare i rapporti economici.
Poiché le crisi finanziarie degli ultimi decenni hanno reso evidente che la banca è diventata la principale fonte d’instabilità economica e di malessere sociale, risulta incomprensibile che ci si
possa definire alternativi all’attuale stato delle cose senza affermare a chiare lettere che mantenere le prerogative e privilegi concessi alle banche è un cancro tendente alla metastasi.
2) L’aumento del debito, soprattutto di quello privato, è un problema più che serio.
Per antonomasia, il debito è l’affare della banca privata e dei maggiori potentati del mondo: per guadagnare denaro in modo assolutamente irresponsabile creano in modo assolutamente irresponsabile un debito che costituisce una minaccia brutale crescente.
Con minori volumi di debito, ci sono stati enormi problemi lungo la storia. Invece, oggi, per l’1% ed i loro paggi sembra diventato uno sport. Il risultato è che famiglie e aziende vedono aumentare i loro debiti solo perché le banche devono guadagnare ogni volta di più. Fino a quando questo sarà considerato accettabile, quindi finché sarà accettato passivamente che famiglie e imprese debbano occuparsi, in genere angosciosamente, di debiti creati in modi artificiosi, le pretese di cambiamento ordinato e progressivo saranno solo capricci e moine.
Per ormai antica scelta, mi definisco un ottimista. Ma sono memore di un vecchio aforisma di José Saramago: “Non sono io ad essere pessimista, è il mondo che è pessimo”.
Rodrigo Andrea Rivas