“The 8 Show”: il crudele spettacolo del capitale
Dall’Oriente arrivano interessanti serie tv che, tramite il travestimento del gioco a premi, rappresentano metaforicamente la società reale: basti pensare alla sudcoreana Squid Game (2021), che mette in scena un gruppo di disperati e poverissimi che, per arricchirsi, scelgono volontariamente di partecipare a dei giochi mortali, oppure alla giapponese Alice in Borderland (2020-2022) che mostra una Tokio distopica in cui alcuni personaggi, per poter sopravvivere, devono partecipare a misteriosi e pericolosi giochi. Il gioco a quiz, esploso con l’avvento delle televisioni, nell’universo digitale contemporaneo rappresentato dalle serie in questione, si trasforma in una sfida mortale all’ultimo sangue in cui gli aspetti virtuali si uniscono a quelli reali, in un mix micidiale.
Dalla Corea del Sud arriva anche The 8 Show (2024), tratta dai webtoon (cioè fumetti pubblicati online) Money Game e Pie Game di Bae Jin-soo. Otto personaggi, scelti fra i più poveri e disperati, come in Squid Game, sono invitati a starsene chiusi in una casa, separati per piani (dal primo all’ottavo) e, mentre passa il tempo, apparentemente senza dover fare nulla, a guadagnare soldi che si aggiungono al loro montepremi. I personaggi, a loro spese, scopriranno che: esiste una gerarchia nei piani della casa, cioè l’ottavo piano è un appartamento di lusso, con tutti i comfort, per scendere, gradatamente, fino al più povero, cioè il primo (all’inizio del gioco, tutti hanno dovuto scegliere a caso una carta con un numero, senza sapere che si riferiva al numero del piano); anche se apparentemente sembra che il denaro si accumuli senza dover fare niente, in realtà il tempo a loro disposizione, che appare su un maxischermo digitale, aumenta se riescono in qualche modo a intrattenere il pubblico che li osserva tramite telecamere disposte in ogni stanza. Ma chi è il pubblico? Chi osserva questi malcapitati (che, pure, vogliono deliberatamente restare e far aumentare il tempo) come in una versione horror della trasmissione “Il Grande Fratello”? Beh, pensiamo a fantomatici ‘ricchi’, benestanti, le più alte sfere del potere economico e politico, esattamente come in Squid Game.
La casa è allestita come un universo spettacolare, come un circo o un luna park, con una piscina finta, delle colorate cibarie finte da luna park (pop corn, hamburger, hot dog), con colorate luci digitali che illuminano un mondo artificiale, una funerea prigione spettacolarizzata. Che diventa una metafora della vita reale, quotidiana, fuori da lì; i rapporti fra gli individui, studiati come in un terribile e inenarrabile esperimento scientifico, sono una crudele rappresentazione dei rapporti fra gli individui nella vita reale, rigorosamente inseriti in una scala gerarchica (come sul treno postapocalittico del film Snowpiercer, realizzato da un altro sudcoreano, il geniale Bong Joon-ho). Insomma, i malcapitati (che, non dimentichiamo mai, scelgono volontariamente di restare per guadagnare di più, non li costringe nessuno) devono inventarsi qualcosa per far aumentare il tempo. Se dapprima pensano di dedicarsi a veri e propri piccoli spettacoli (giochi da circo, esibizioni comiche, canzoni) scopriranno ben presto che ciò che diverte di più è la violenza. Per far divertire il pubblico di ricchi, allora, dovranno darsele di santa ragione, autoinfliggendosi torture e crudeltà, in un crescendo continuo fra sospetti, gelosie e vendette. Mentre i poveri si scannano fra loro, i ricchi si divertono: anche questa, direi, metafora della società reale. D’altra parte, la violenza rimanda anche alla violenza intrinseca nei giochi dell’economia mondiale: alla borsa di Wall Strett, ad esempio, si creano episodi di violenza economica incorporea pari a quella di sanguinosissime guerre. I potenti esponenti dell’economia globale, dietro le quinte, si divertono adesso con del sangue vero, con della violenza vera, pure se nascosta, sotterrata e allontanata dal mondo reale (esattamente come nella Borsa di una importante città del mondo).
Il capitale, mentre deve reggersi su apparati irreali e digitali per sopravvivere, rappresenta la sua farsa sanguinosa: come scrive il lucido studioso Robert Kurz, “la fase terminale volge sempre in farsa, anche se, in ultima analisi, in una farsa sanguinosa”. Come Kurz afferma in una sua importante opera recentemente tradotta in italiano, “il mondo è ancora una merce”, perché “l’economizzazione di ogni oggetto e di ogni ambito dell’esistenza si è già spinta fino ai limiti del possibile o addirittura oltre” (R. Kurz, Il capitale mondo. Globalizzazione limiti interni del moderno sistema produttore di merci, trad. it. Meltemi, Milano, 2022, p. 21). Il capitalismo è ormai diventato un “sistema mondo” (cfr. ivi, cap. 2, pp. 49-96), un sistema perfettamente rappresentato dal microcosmo finto e spettacolare, in cui domina il denaro, dove vivono i personaggi della serie tv. Rilevante è anche il fatto che, a differenza di Squid Game, i giocatori di The 8 Show, in teoria, non devono fare assolutamente niente per far aumentare il loro montepremi; non sono obbligati a partecipare a nessun gioco. Devono semplicemente ingegnarsi per arricchirsi. Inevitabilmente, i mezzi per arricchirsi generano violenza, una violenza terribile e cieca fatta di tradimenti, bugie, gelosie, sotterfugi. Niente di più vicino alla realtà. Il meccanismo abulico del capitale continua indifferente la sua corsa alla produzione di merce, indifferentemente che i prodotti siano torte al cioccolato o ordigni nucleari, innocue scenette comiche o torture all’ultimo sangue. Come sempre osserva Kurz in un altro suo saggio, “l’astratto interesse monetario spinge ogni produttore verso quei prodotti e quelle forme produttive che gli garantiscono il massimo guadagno monetario, nel modo più rapido e diretto, a dispetto dei contenuti e delle conseguenze, per quanto deprecabili” (R. Kurz, Il collasso della modernizzazione. Dal crollo del socialismo da caserma alla crisi dell’economia mondiale, trad. it. Mimesis, Milano, 2017, p. 87). I personaggi di The 8 Show sono perfettamente inseriti nel modo di produzione capitalistico: appartenenti agli strati più bassi della società, per emergere, per conquistarsi quel famoso ‘posto al sole’ tramite il guadagno immediato, sono disposti a utilizzare tutti i mezzi possibili, non da ultimo scannandosi fra di loro.
Inutile illudersi che nella realtà il gioco sia diverso: la società imposta dal capitale funziona nello stesso identico modo rappresentato dalla serie tv. L’Oriente – che ormai da molti anni ha subito un processo di occidentalizzazione diventando un capofila dell’universo capitalistico – con le sue serie per la televisione, ha ancora una volta colpito nel segno. Inutile illudersi: come ipotetici giocatori di un più o meno violento gioco a premi, nel mondo reale, siamo tutti pedine nelle mani del capitale.
Per Codice Rosso, Guy van Stratten