Uguaglianza e conformità nelle società del liberismo e del capitalismo
Pensavo ieri ai palazzi della ex Russia comunista, tutti identici, alti, vicini; agglomerati che non permettevano a architetture lussuose di villette o palazzi di sorgere nei dintorni.
È successo lo stesso alla speculazione edilizia del mercato libero in Occidente. Dovunque, e non solo nelle periferie delle città, palazzi uguali costruiti per dormire e non per viverci dentro. Verso la provincia, villette a schiera identiche e bifamiliari, elementi di lego simmetrici tra loro. Quello che personalmente mi terrorizza è l’uniformità delle linee geometriche dei balconi. Poche le eccezioni, le case dove abitano i più abbienti: sono i palazzi dei primi del novecento, costruiti prima di un’idea di casa come oggetto di consumo. In epoca posteriore i palazzi dei ricchi vengono costruiti in zone speciali, ad esempio Milano 2 progettata da Berlusconi, con parchi e laghetti.
Nella moda abbiamo viali di negozi situati al centro di ogni città o, alternativa inutile, centri commerciali con gli stessi brand (Marella, Benetton, Zara, ecc). Andare nell’uno o nell’altro, che differenza fa?
I vestiti di lusso si trovano in rari negozi a Milano (per esempio di via Montenapoleone). Migliaia di euro a capo. Sicuramente una brava sarta è stata ben retribuita.
La stessa cosa avviene nei supermercati. Le stesse marche e la stessa povertà di scelta, anche nei magazzini più grandi.
Come è possibile che un sistema che afferma di essere votato alla competizione nella vendita non abbia creato nulla di veramente competitivo? Due marche di caffè hanno pochi centesimi di differenza. Né nel campo artistico, architettonico, nella concezione dei parchi e delle strade, né nei brand e negli alimentari. Eppure i cittadini credevano che, rispetto al socialismo reale, in un sistema di libero mercato e all’interno di un’economia liberista fosse loro data la possibilità di scelta.
No. Il 2 per cento possiede quasi tutta la ricchezza mondiale.
Il resto deve comprare stracci made in China, deve mangiare cibi con conservanti, deve abitare case ammobiliate al massimo da Ikea. E fare rate, anche per la spesa o per un mobile carino. L’accumulazione del capitale è andata verso una sua concentrazione e la distruzione dei concorrenti.
Non è mai esistito quel benessere della popolazione che le permettesse di scegliere secondo un gusto personale. E le scelte di gusto, quando non sono pacchiane (spesso lo sono), riguardano solo gli alloggi dei ricchi, dei molto ricchi che non hanno problemi a comprare una palazzina o una casa con un parco attorno, o, per fare un altro esempio, una casa isolata su un panorama difficilmente raggiungibile e mozzafiato, costruita per loro da un viavai di muratori pagati mesi o anni.
D’altra parte capacità artigianali non possono essere studiate e coltivate da parte di operai e impiegati, data la mancanza di tempo e risorse economiche.
Il capitalismo è un sistema dove pochissimi ricchi possiedono tecnologia, risorse naturali e manodopera a basso costo. Pensiamo allo smartphone e alla Apple. Due ditte che vendono in tutto il mondo. Il monopolio di un sistema a due che si mette d’accordo per pareggiare i rispettivi guadagni nel mondo.
Il mondo artigianale del bello, dell’arte, della qualità, è precluso a tutti tranne che a quei pochi miliardari.
Per Codice Rosso, AS J