I misteri di Castel Sonnellino
Tutti i citornesi avevano sentito parlare dei misteri di Castel Sonnellino, quell’imponente maniero a picco sul mare, poco più a sud della loro città. Di “misteri” si parlava e ognuno li raccontava un po’ come voleva: storie di fantasmi, di bianche figure che nelle notti senza luna passeggiavano sui bastioni, di grida e trascinar di catene, perfino di ululati e di lupi mannari. Addirittura, Beppe, il pescatore di totani, giurò che una notte, mentre era a pesca con la sua barca lì vicino, vide una figura bianca dai contorni fluorescenti che si aggirava sugli scogli della baia privata del castello. Era una figura femminile dai tratti eterei ed evanescenti, con la pelle bianchissima e lo sguardo perduto in lontani e sinistri limbi. Tutti dissero che Beppe quella storia non se l’era inventata perché il povero pescatore, il giorno dopo, era a letto con un febbrone da cavallo. Io non credevo a queste storie perché sono sempre stato mosso da una impressionante calma e razionalità, che riuscivo a conservare anche nei momenti più difficili. Almeno, fino a quel giorno.
Ebbene, fu proprio quel giorno di inizio autunno che, in visita a Citorno, grazie ad alcuni amici, ho potuto trascorrere una serata e addirittura una notte all’interno del Castel Sonnellino. Riesco a malapena a descrivere la bellezza del tramonto visto dalle sale del castello: un colore dalle esangui tonalità pastello, una luce quasi incantata si levava dal sole che si stava tuffando in mare, una luce che – essendo appassionato d’arte – ero riuscito a trovare soltanto in un grande pittore locale, l’indiscusso maestro Natalini. Quella luce così perfetta stava penetrando nel colore della bevanda che avevo nel bicchiere – un buonissimo Zampari – fino a fondersi in un unico amalgama incredibilmente poetico. Dopo l’aperitivo fu la volta di una lauta cena: pappardelle al cinghiale della macchia mediterranea, Morellino di Pipano, cinghiale con olive e piccione arrosto. Per finire, una bevanda eccezionale, che solo a Citorno conoscono: il ponce. Era una sinfonia di sapori e in sé racchiudeva le delicatezze e le prelibatezze di qualsiasi dessert messo insieme. Dopo cena ci ritirammo in un’altra stanza, dove potevamo fumare i nostri sigari e le nostre pipe e, se avessimo voluto, anche tirare tardi nel giuoco delle carte.
Ma, allora, tutte quelle storie di fantasmi, spettri e mostri che aleggiavano sul castello? Fra i miei amici, i più scettici si facevano delle sonore risate mentre coloro che ad esse prestavano un po’ di fede mi dissero che quella stessa notte, forse, avremmo potuto assistere a dei fenomeni inspiegabili. Facemmo le ore piccole giocando a Tresette e, giunto il momento di coricarsi, salutai tutti e mi recai nella mia stanza. Era forse la stanza più isolata del castello, che si trovava nell’ala sud: per arrivarci, dovetti infatti percorrere un lungo e cupo corridoio scarsamente illuminato. Una volta entrato, nel silenzio più assoluto, percepii dei rumori provenire da un’altra stanza, non lontana dalla mia, che però quella sera non era stata occupata da nessuno. Mi feci coraggio, uscii e percorsi il corridoio fino ad aprire con circospezione la porta della stanza. Ho già detto che affronto qualsiasi situazione con calma e sangue freddo: anche in quel momento ero calmissimo e mosso soltanto da un pensiero lucidissimo. Ma, quale fu la mia sorpresa, dopo che ebbi aperto la porta!
Mi ritrovai in un ambiente illuminato da candele e ornato di cupi mobili barocchi e inquietanti quadri, nei quali figure dalle fattezze mostruose erano immortalate in pose vecchie di secoli. Su una poltrona stava seduto uno strano essere: un omuncolo completamente avvolto in un mantello nero che stava dormendo ma che si svegliò nel momento in cui avanzai verso di lui. “Chi è lei?” – domandai sommessamente. “Ma chi siete voi, piuttosto” – ribatté l’essere, che adesso era completamente sveglio e si era alzato in piedi. “Io sono Casimiro VIII” – continuò – “della gloriosa stirpe dei vampiri della Transcacania”. Io, da parte mia, con la consueta calma, gli spiegai che avevamo trascorso la serata nel castello grazie all’interessamento di alcuni amici che conoscevano il proprietario, assente per affari. “Eh, ma se sono io il proprietario!” – disse tristemente Casimiro. “Stasera mi sono addormentato, altrimenti vi avrei tenuti lontano dal mio castello con qualcuno dei miei trucchi. Sapete, sono capace di creare incantesimi, fantasmi, suoni di catene, perfino ululati e lupi mannari. Ero il migliore quando andavo a scuola di magia, ero più bravo perfino di Harry Popper!”. “E così è lei, Casimiro, a creare i malefici da cui sono nate le cupe leggende e i misteri che aleggiano sul castello” – gli dissi senza battere ciglio. “Certo, è ovvio” – ribatté – “l’unica cosa che voglio è schiacciare i miei sonnellini in pace. Sapete che il nome del castello deriva proprio dalla mia predilezione per i sonnellini? Sapete che il primo proprietario del castello, Sidney Sonnellino, ero io sotto mentite spoglie? Nella seconda metà dell’Ottocento il governo di Roma (da poco c’era stata l’unità d’Italia) mi incaricò di redigere un rapporto sul Meridione e me ne andai in Cicilia. Quella terra mi piacque così tanto, così calda e così diversa dalla mia cupa Transcacania, che spessissimo mi sedevo sotto un albero e schiacciavo un sonnellino. Di qui l’appellativo di Sidney Sonnellino e, di conseguenza, anche il nome del castello”.
Uscì quindi dalla sua stanza e si avviò nel salone, dove avevamo cenato. Sul tavolo erano rimasti ancora diversi bicchieri di ponce che, evidentemente, non erano stati bevuti. “Sapete cosa mi manca soprattutto della Cicilia? I suoi meravigliosi dolci, i suoi divini sorbetti, i suoi celestiali vini passiti!”. E ciò detto diede un sorso da uno dei bicchieri di ponce. In quel momento, il suo volto, da triste che era, divenne raggiante. Volle sapere che cos’era quella bevanda e io glielo spiegai: è ponce, che si può trovare un po’ in tutti i bar di Citorno ma soprattutto in un bar storico di nome Zivili. In quel momento venni fulminato da un’idea: mi venne spontaneo proporre un patto a Casimiro. Se lui avesse smesso di creare sortilegi, malefici e fantasmi e avrebbe permesso ai citornesi di godere del suo castello, in accordo con l’attuale proprietario, io e i miei amici gli avremmo regalato un conto aperto da Zivili, dove avrebbe potuto bere tutti i ponce che voleva. Oltre tutto, poteva passare le serate in modo diverso rispetto a quella noiosa solitudine che lo avvolgeva.
Casimiro fu contentissimo e il patto venne stipulato. Ebbene, dopo quel giorno, gli ululati, i fantasmi, i lupi mannari, il trascinare di catene – paradossalmente in questa ridda di sortilegi mancava solo il vampiro, l’unico a esserci veramente! – sparirono per sempre. Rimasero però i misteri, e molti citornesi si chiesero chi fosse, appunto, quel misterioso signore vestito di nero che, a notte alta, si dirigeva verso il mare dopo aver bevuto qualche ponce di troppo.
gvs