Novelle

Il vampiro del fiume

Mi trovavo nella ridente cittadina di Trixen, circondata dalle montagne, invitato dall’esimio professor Krainz a partecipare al Congresso di Medicina che si teneva nella locale università. Alloggiavo al “Zeminar”, un grande e tetro edificio gestito da religiosi imbavagliati come marionette lignee nei loro abiti neri e per giungere alla mia camera dovevo percorrere un lunghissimo corridoio che, nella notte, era scarsamente illuminato e mi faceva gelare il sangue nelle vene, mentre mi ritiravo a sera tardi per andare a dormire. A colazione mi avevano messo a sedere a un tavolo con una coppia di teutonici che, sorridendo, mi dicevano semplicemente “buonciorno”. Il centro storico di Trixen era veramente incantevole: antichi edifici in stile mitteleuropeo dalle facciate chiare si ergevano nei vicoli e nella piazza principale e veramente sembravano la prosecuzione architettonica delle montagne e dei boschi che circondavano la cittadina. Come quieti e maestosi alberi, i palazzi e i campanili di Trixen emanavano una quiete geometrica per le strade e mi facevano sentire rilassato e tranquillo. Il centro era inoltre attraversato da un fiume che spandeva il suo fresco rigenerante sulle meravigliose passeggiate che percorrevano le sue sponde nonché, soprattutto, sui ponti adornati di vasi di fiori. Nella torrida estate (e quell’anno fu veramente caldo: a Cologna, in pianura, si sfioravano i quaranta gradi) Trixen e il suo fiume erano veramente un’oasi di pace e di refrigerio.

La mattina il professor Krainz mi veniva a prendere con la sua 500 blu e mi portava all’Università. Il congresso fino a quel momento era stato interessante: accademici importanti partecipavano a quell’imperdibile evento (fra di essi vi era addirittura il professor Abronsius dell’Università di Königsberg), signori filiformi in elegante frac nero con monocolo e lunghe sigarette dorate, professori in camice bianco che, nelle pause, fumavano grandi pipe di mogano, signore con abiti chiari ed eleganti e acconciature settecentesche. Essi, dal momento che io non facevo parte di nessuna accademia, non mi degnavano neanche di uno sguardo.

“Karro amiko, spero ke stiate pene in Trixen, e spero che Kongress sia ti fostro piacimento”, mi diceva ogni giorno il professor Krainz. Un giorno mi regalò anche un vasetto di miele locale, dicendomi: “asaciate questo miele, fiene da api di posco ficino Trixen, è sempelicemente sqwisito”. Volle donarmi anche una bottiglia di vino locale, il Trominer: “qwesta infece essere pottiglia di fino pianco di nostre montagne: sentite com’è puono!”. In effetti il vino era veramente squisito: me lo bevvi tutto d’un fiato una sera da solo nella mia stanza.

Nelle taverne, a cena, andavo a mangiare ottimi piatti locali di carne e patate arrosto. Una strana voce si era sparsa tra la gente: un po’ dappertutto si parlava con inquietudine di un personaggio vestito di nero, con una lunga automobile scura, che si aggirava a notte alta per Trixen mordendo sul collo gli incauti viandanti. Ne parlai con Krainz e mi disse: “Karro amiko, sono tutte kazate! Fedete qwella filla lassù” – mi indicava una elegante villa con un torrione che si trovava su una collina sul fiume – “dikono che è la macione di fampiro, ah ah”. In effetti la villa era abbandonata e nessun abitante di Trixen si era mai avvicinato per paura del vampiro del fiume, così chiamavano quell’essere misterioso. Nessuno, a Trixen, si attardava per le strade a notte alta, dopo una certa ora le strade erano deserte. Comunque, sul far della sera e nei primi momenti della notte era un piacere passeggiare per la cittadina: il centro storico era pieno di gente e un allegro brusio si levava dai caffè e dai biergarten illuminati da tante lucine colorate.

Una sera mi ero attardato un po’ di più alla Taverna dell’Orso (sulla cui soglia la statua gigantesca d’un orso richiamava gli avventori) dove avevo gustato gulasch e patate, nonché bevuto diverse pinte di birra scura, e mi ritrovai a camminare per le strade quasi da solo. Percorrevo la passeggiata lungo il fiume quando, da lontano, mi parve di intravedere la 500 del professor Krainz. Dopo pochi metri mi si affiancò una gigantesca Citroen DS Pallas nera guidata da un personaggio oscuro, vestito con un mantello nero. Una voce familiare, dal finestrino, mi invitò a salire: “karro amiko, salite su mia fettura elegante!” era il professore e, meravigliato, forse un po’ incosciente e un po’ brillo per le birre e le grappe bevute, salii a bordo. Il professore continuava e parlare e io non credevo alle mie orecchie: “Siete kaskato in mia trappola! Ah ah, sono io il fampiro del fiume! Ora vi konduko a Zeminar e banketeremo con fostro sancue!” come “banketeremo”? Voi e chi altri, professore? – mi scappò detto e stranamente avevo conservato una certa calma. “Io e miei fidatissimi zombies! In Zeminar sono tutti zombies! Krazie a un pulzante, io trasformo mia 500 in Ds e mi trasformo in fampiro: al Zeminar sono zombies miei sotoposti!”. Arrivammo al Zeminar e fui costretto dal professore a entrare: i corridoi lunghissimi erano pieni di terribili zombi, con le carni a brandelli, pronti a fare a brandelli me (vi era anche la coppia di teutonici che incontravo a colazione e ora, davvero, non mi dicevano “buonciorno”). Mi stavano per prendere quando fui afferrato da una mano amica e provvidenziale, mentre sentivo gridare: “fermi, siete circondati!”. Era il generale Romero che, con il suo esercito, era accorso allertato dagli abitanti di Trixen. Ero salvo: gli zombi e il vampiro del fiume erano nelle mani dei loro nemici.

gvs