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La letteratura ci salverà dall’estinzione?

Carla Benedetti, La letteratura ci salverà dall’estinzione, Einaudi, Torino, 2021, pp. 136.

Quelli attuali sono tempi davvero duri per l’Antropocene, l’epoca in cui – secondo gli scienziati Paul Crutzen ed Eugene Stoermer – l’uomo ha modificato e alterato irrimediabilmente le condizioni del pianeta. L’epoca in cui si intensificano in maniera abnorme gli effetti provocati dalla società umana sul resto del globo in termini di riduzione della biodiversità, inquinamento e trasformazione degli ambienti naturali. Adesso, come se non bastasse, si aggiunge la minaccia di una guerra nucleare in cui è messa a rischio la stessa esistenza della specie umana. Una guerra che, sicuramente, provocherà una nuova emergenza energetica per far fronte alla quale già si progetta un maggiore utilizzo delle centrali a carbone in Europa e in Italia. Tale utilizzo farà scaturire nuove, significative immissioni di CO2 nell’atmosfera.

Fra guerre e sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta non si può certo dire che gli attuali detentori del potere politico, totalmente asserviti alla spietata logica capitalistica, siano degli “acrobati del tempo”, come scrive Carla Benedetti nel suo recente pamphlet uscito per Einaudi dal titolo La letteratura ci salverà dall’estinzione:

Evidentemente gli uomini di oggi non sono in grado di farsi acrobati del tempo, di mettersi nei panni di chi si troverà, in un futuro assai prossimo, a vivere su un pianeta dal clima sconvolto, dove scarseggiano l’acqua, il cibo e l’energia – e forse anche avvelenato dalle armi chimiche o nucleari che non si faranno scrupolo di usare quelli che vorranno accaparrarsi il poco che rimane.

Ma cosa vuol dire essere “acrobati del tempo”? Vuol dire – secondo la studiosa – essere capaci di proiettarsi empaticamente nei figli dei propri figli, riuscire ad agire oggi in funzione del futuro. Del resto, scrive Benedetti, “la storia dell’umanità è disseminata di stermini e ferocie. Ma non era mai successo prima che la violenza genocida si esercitasse sui viventi di domani. Questa è in assoluto la novità più ‘disumana’ del nostro tempo, che rende ancora più atroce e intollerabile l’inerzia di oggi, ciò che non viene fatto finché si sarebbe ancora in tempo”.

Carla Benedetti, essendo una studiosa di letteratura, rivolge proprio a quest’ultima la sua attenzione. È possibile trovare – si chiede – all’interno della letteratura una “parola suscitatrice”, una voce, cioè, che, al di là della descrizione di possibili scenari post-apocalittici ed eco-distopici, riesca a dire che è possibile cambiare l’ordine delle cose? Che offra, quindi, una visione ‘positiva’ del futuro, in modo da trasformarsi in attivo soggetto agente? Nella sua ricerca, Benedetti si affida alle pagine di Amitav Ghosh, uno scrittore che ha da sempre prestato una particolare attenzione al tema del cambiamento climatico e al ruolo colpevole che in esso hanno le classi dirigenti. Secondo Ghosh, la forma del romanzo avrebbe rinchiuso l’immaginario dell’uomo moderno in un universo ristretto e quotidiano, allontanandolo dal senso di appartenenza a una totalità presente nell’epica, al “vasto sfondo del mondo totale”, come scrive Hegel nell’Estetica. Non a caso – nota Lukács – il romanzo è un genere tipicamente “borghese” in cui l’avventura individuale ha preso il posto della dimensione collettiva, e la vita quotidiana quello delle imprese degli eroi.

Non è tuttavia necessario ricorrere per forza di cose all’epica per riscoprire una dimensione totalizzante in cui ogni singolarità viene ricondotta a una collettività dolorosamente precaria. Anche molti grandi romanzi moderni “sfondano il piccolo orizzonte spaziotemporale a cui ci hanno assuefatti le narrazioni più correnti, a volte inglobando anche forze non umane, e mettendo in tensione i limiti imposti da ciò che siamo abituati a concepire come realtà”. Fra di essi vi sono, secondo Benedetti, Moby Dick, I fratelli Karamazov, Guerra e pace, Il Maestro e Margherita e, fra i contemporanei, Il sussurro del mondo di Richard Powers e Gli increati di Antonio Moresco. Questi romanzi hanno in comune con l’epica la caratteristica di non separare la storia umana da tutti gli elementi di cui è intessuta la vita dei terrestri. Perciò, non si tratta tanto di temi o d’intrecci narrativi riconducibili a un genere specifico come la fantascienza o, al giorno d’oggi, la climate fiction o l’ecofiction. La letteratura, secondo la studiosa, può svolgere un ruolo importante nel ‘salvarci dall’estinzione’ senza essere ricondotta a un genere specifico; non sono soltanto i romanzi che trattano esplicitamente di cambiamenti climatici o d’inquinamento a svolgere un ruolo importante in questo senso ma anche quelli che, pur non affrontando esplicitamente tali problematiche, offrono uno sguardo ampio e totalizzante sul mondo:

Eppure, se c’è una cosa che spetta proprio alla letteratura, è di rompere quelle gabbie del pensiero e della sensibilità, per dare corpo a una visione più vasta e più potente dell’umano, anche se non parla di scioglimento dei ghiacci, di petrolio, di guerre biologiche o di scomparsa delle api.

D’altra parte, una capacità di questo tipo è riscontrabile anche in molta letteratura appartenente a ciò che rimane delle “culture primitive” dopo la colonizzazione. Un esempio ne sono le opere dello scrittore nigeriano Chinua Achebe: “Le cose crollano, La freccia di Dio, i suoi romanzi più noti, ci mettono in contatto intimo, immaginativo, sensibile con un’altra potenzialità della civiltà umana, distrutta ma tuttora viva, e che ancora ci parla grazie alla narrazione romanzesca, come se scaturisse da un vaso sigillato appena dissotterrato dalle macerie”.

Questa apertura totalizzante offerta da certa letteratura, come scrive Benedetti, fa parte di quelle “zone” che ancora non sono state colonizzate dal pensiero dominante nella cultura e nella società. È attraverso questi “varchi” che può “penetrare qualcosa di così diverso che pare provenire da un altrove rispetto all’esistente, e che può trasportare possibilità dimenticate, scartate, magari considerate sorpassate, ma che in realtà non sono mai del tutto e definitivamente morte”. Una di queste zone, nell’analisi della studiosa, è rappresentata anche dalla fanciullezza: sono i giovanissimi, infatti, a essere maggiormente impegnati nelle lotte per una giustizia climatica (interrotte in modo drastico dall’emergenza Covid) perché non hanno sviluppato l’indifferenza, il senso d’impotenza e la frustrazione che talvolta incontriamo negli adulti: “L’indifferenza dei politici all’emergenza ambientale genera infatti in loro un’indignazione che si mescola allo stupore”.

Tornando alla letteratura, secondo quanto ci suggerisce la studiosa, è possibile scoprire all’interno di essa una finzione prima, che non riguarda contenuti o temi espliciti. Essa “crea uno spaziotempo separato, distaccando la vita umana da quella degli altri viventi e dal caos dell’universo. Le grandi opere del passato, i grandi romanzieri e i grandi pensatori tenevano aperto il loro sfondo su quella cassa di risonanza più ampia, senza separare la storia umana da tutti quegli elementi di cui è intessuta la vita dei terrestri”. Ad esempio, Guerra e pace, nonostante sia stato canonizzato come romanzo storico, “strappa il fondale fittizio della Storia” mentre ne I fratelli Karamazov, Ivan, raccontando ad Alësa la parabola del Grande Inquisitore, così gli si rivolge: “Accetta pure quest’ultima ipotesi […] se il realismo contemporaneo non ti ha già talmente guastato che non puoi sopportare nulla di fantastico!”. Il “fantastico”, in questo senso, aprirebbe un varco verso quella dimensione totalizzante che abbraccia l’intero mondo. Una riflessione viene spontanea di questi tempi: ben tre fra i romanzi suggeriti dall’autrice (Guerra e pace di Tolstoj, I fratelli Karamazov di Dostoevskij e Il Maestro e Margherita di Bulgakov) appartengono alla letteratura russa (anche se Bulgakov è nato a Kiev), letteratura che adesso una cieca censura occidentale pretenderebbe d’interdire e allontanare. Ma è proprio in alcune sue grandi opere che si possono incontrare dei varchi verso una nuova dimensione umana, totalizzante, che ci farebbe riconoscere tutti come “terrestri” e non come burattini in mano al sistema del Capitale, in guerra gli uni contro gli altri.

Come Benedetti scrive in chiusura del suo saggio, “riconoscersi come terrestri muta radicalmente le fondamenta della nostra comprensione del mondo e del nostro agire in esso. È il seme per far crescere una struttura di pensiero e di sensibilità adeguata all’enormità del pericolo planetario”. Adesso più che mai c’è bisogno di aperture e non di chiusure, c’è bisogno di varchi, di spazi che sfuggano al disciplinamento e al controllo che vegliano sulla scansione e sulla “regolarità delle enunciazioni”, come afferma Michel Foucault. È necessario che si aprano delle plaghe di resistenza, e una capacità non indifferente di resistenza ci può essere offerta proprio dalla letteratura. Ora che il pericolo sta crescendo – parafrasando Hölderlin – c’è davvero bisogno anche della crescita di “tutto ciò che salva”.

gvs

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