Novelle

Ufo in piazza Grande

Era una serata nebbiosa. L’ispettore Piccioni doveva ascoltare un importante testimone riguardo ad alcuni misteriosi avvistamenti di Ufo in città e, nell’attesa, si era concesso una breve passeggiata fino al porto. Fumando la sua fidata pipa che era appartenuta addirittura al commissario Maigret, Piccioni si avviò sul molo dove, in quel periodo, era ormeggiata la Pipucci. Otto il poliziotto, a guardia della maestosa nave sulla sua motociclettona, lo salutò con un cenno ossequioso. La nebbia si faceva sempre più fitta e l’ispettore si inoltrò lungo i pontili dall’altra parte del molo. L’oscurità regnava ovunque e i rari passanti, marinai sbandati e pescatori, parevano emergere da un tetro lenzuolo lattiginoso che si sollevava dal mare, ormai del tutto sparito alla vista. Da lontano, riusciva a intravedere l’alberatura della Pipucci che emergeva dal candido velo e pareva un vascello fantasma, un inquietante veliero della paura da dove all’improvviso sarebbero potuti discendere i peggiori incubi. Preso da inquietudine, Piccioni si affrettò a tornare in città dove aveva l’appuntamento con il signor Arkadin, il famigerato testimone. Si dovevano trovare in piazza Grande, davanti al bar “da Joe”. L’ispettore venne avvicinato da un’alta figura elegante mentre, subito dopo, una mano veloce e forzuta si protese per stringere la sua in un saluto. “Buonasera ispettore, grazie per essere venuto” – disse Arkadin – “venga, le offro un caffè”.

Dentro il bar l’atmosfera era allegra e cordiale. I due si sedettero a un tavolino e Arkadin mostrò a Piccioni il giornale posato sul tavolo: “legga a pagina 4, ispettore, gli articoli sugli oggetti volanti avvistati negli Stati Uniti”. Un articolo titolava a tutta pagina: “Palloni spia cinesi nei cieli d’America?” mentre un altro, più piccolo, così riportava: “Un generale Usa non esclude l’ipotesi aliena”. Gli articoli parlavano di misteriosi oggetti volanti, probabilmente palloni-sonda cinesi, abbattuti dai caccia statunitensi. “Ebbene io so, ispettore” – disse Arkadin – “che non sono palloni cinesi ma astronavi aliene. Due notti fa proprio qui, in piazza Grande, ho avuto un incontro ravvicinato”. Piccioni guardava fisso l’uomo negli occhi: non sembrava mentire. D’altra parte, negli ultimi giorni, diversi testimoni riferivano di avvistamenti, soprattutto notturni, nei cieli cittadini ma Arkadin era l’unico che aveva avuto un incontro ravvicinato con i misteriosi visitatori. Così i suoi superiori lo avevano subito spedito a indagare. L’uomo diceva che le creature aliene gli avevano raccontato che gli Ufo che sorvolavano gli Stati Uniti erano stati mandati dal pianeta Orson per far cessare la guerra in Ucraina ma che l’aviazione statunitense li aveva inopinatamente abbattuti con la scusa dei cinesi i quali, in effetti, non c’entravano nulla. Arkadin, però, non era riuscito a capire perché gli Ufo erano venuti anche qui, proprio in piazza Grande.

Le indagini si protrassero nei giorni successivi. Insieme ad Arkadin e anche da solo, il povero Piccioni trascorse diverse notti sveglio e all’addiaccio, a sorvegliare da un capo all’altro piazza Grande. Il freddo era intenso e la nebbia era così fitta che pareva di camminare nel latte: non avrebbe saputo davvero come fare senza la sua amata pipa a scaldargli le mani ed il cuore. Era ormai stanco e disilluso finché una notte li vide: un oggetto dalla forma di disco volante, senza emettere il minimo suono, si posò nella piazza, vicino al Duomo. Ne uscì un omiciattolo non più alto di un metro, di colore rosso, che sbirciò Piccioni con i suoi lunghi bulbi oculari. L’ispettore rimase atterrito ma cercò di conservare la calma (perbacco, ne aveva passate di avventure, anche ben peggiori di questa!). L’omino rosso si rivolse a Piccioni con queste parole: “Buonafera, mio nome è Acca due-o e fono un vifitatore profeniente da Pianeta Orfon, nella galaffia del Centauro, aterato qwi con mio eqwipagio. I miei parenti fono ftati infiati in Amerika, ma fono ftati abatuti da aerei di poveri amerikani inconfapefoli. Loro folefano far ceffare la teribile gwerra in Ukraina e infece fono ftati uccifi da amerikani!”. L’ispettore rimase in silenzio e stette quasi per svenire.

Resistette e, poco dopo, ebbe la forza di domandare: “Ma cosa siete venuti a fare qui, in città?” L’omino rispose con nonchalance: “Abiamo faputo ke in fostra citta i cinema fono ftati diftrutti per coftruire parkegi et altre kazate! Parkegi, sempre parkegi e fempre più fkatole metalike che chiamate automobbili! In tutta la Terra non abiamo mai vifto una citta come la voftra, fenza neanke una area petonale! Noi, fu pianeta Orfon, amiamo molto il cinema terreftre: proprio ieri, mimetizati, fiamo antati a federe uno di noftri silm preseriti, “2001 Odiffea nello Fpazio” in un cinema citadino che ancora refifte! L’imperatore di Pianeta Orfon, Kubriko II, ci ha mandati qwi per impetire ke altri cinema fengano diftruti”. E così continuò: “Ani e ani sa, fempre mimetizati, fiamo ftati già in voftra citta e fiamo andati a tanti cinema in centro: Kino d’effè, Crande, Medropolitan, Gran Gvardia, Oteon, adeffo tuti diftruti! Fiamo perciò entrati in alerta! Foi, poferi tereftri inkonfapefoli, diftrugete tuta voftra kultura!”.

Ahimè, Piccioni davvero non poteva dargli torto: lui stesso riusciva a trovare a stento un cinema dove poter passare una serata in tranquillità, guardando un buon film. Acca due-o, prima di risalire sul suo disco volante, aggiunse infine: “feglieremo fu voftra citta, non permeteremo che aldri cinema fengano abatuti, altrimenti faremo koftreti ad andare in citta di Pifa, dofe hano più rifpeto per cinema (hano anche Arfenale, un cinema d’effé!)”. A Piccioni non rimase altro da fare che stendere un verbale del dialogo con l’extraterrestre e riferire tutto ai suoi superiori, sempre sperando di essere creduto. Stava quasi albeggiando quando da Piazza Grande, insieme al disco volante principale, si levarono altri piccoli dischi gialli, che parevano grandi teglie di torta di ceci. Acca due-o, affacciandosi al finestrino, disse a Piccioni: “queli fono difchi folanti di mio cognato, Ga-ga-Rin 24, eftimatore di gaftronomia di foftra citta!”. In pochi secondi, tutti i dischi volanti sparirono.

“Gran simpaticone, quel Acca due-o”, pensò Piccioni mentre alle prime luci dell’alba, dopo aver svuotato la pipa, stava entrando nel bar “da Joe” per un cappuccino. La nebbia dei giorni passati, ormai, era solo un lontano ricordo.