Novelle

Il vampiro di Reykjavik

Da tanto tempo il mio amico Gunnar insisteva perché io mi recassi nella sua città, Reykjavik, per conoscere di persona l’esimio professor Ratunosfes Nosferatusson, famoso bibliofilo e collezionista di libri antichi. Si vociferava che nella sua biblioteca, insieme a pezzi rarissimi, possedesse addirittura un’edizione cinquecentesca del Satyricon di Petronio che comprendeva il romanzo latino nella sua interezza! Una vera e propria chicca per qualsiasi studioso o appassionato del romanzo petroniano, quale io sono! A un certo punto, non sono riuscito più a resistere e un giorno di ottobre presi il primo aereo per la capitale islandese. Reykjavik mi affascinò subito: arrivai in un momento in cui una neve leggera come zucchero filato scendeva in minuscoli fiocchi sulle strade e sulle case colorate. Alle finestre era tutto un luccichio di ghirlande e candele, luci che cominciavano a festeggiare l’arrivo del Natale e a creare una difesa calda e luminosa contro il buio che progressivamente stava ghermendo la luce del sole. Le giornate, infatti, si stavano accorciando a vista d’occhio e già a metà ottobre le tenebre calavano molto presto. Gunnar mi aveva trovato un alloggio in un hotel sulla Laugavegur, una delle vie principali della città e proprio in quella strada, sull’ora del tramonto, avevo appuntamento con Gunnar. Mentre lo aspettavo, percorsi interamente la strada, da un capo all’altro: da una parte si aprivano vie e vicoli che scendevano verso il cupo Oceano, rinchiuso nel dolce fiordo che aveva come sfondo una verdissima montagna adesso leggermente imbiancata, e dal mare giungevano folate di vento freddo che ti serravano il viso come artigli acuminati. Dall’altra parte, le strade erano invece in salita e si inerpicavano verso la monumentale chiesa Hallgrímskirkja che, con la sua forma di gigantesco metronomo, svettava sopra l’intera città.

Gunnar arrivò puntualissimo e mi condusse in un bellissimo e accogliente locale per bere un koffi. Cosa mai era? Ebbene, si trattava semplicemente di un caffè americano lunghissimo, in una tazzona scura. Mi offrì anche una cioccolata calda, che era assai diversa dalla nostra: infatti non era per niente cremosa ma assomigliava al latte col Nesquik che bevevo nella mia infanzia. Assaggiai però dei dolci buonissimi: delle ciambelle con glassa e cannella che erano la fine del mondo. Mi parlò quindi del professor Nosferatusson: era un tipo alquanto singolare – disse – che compariva praticamente solo in autunno e in inverno, quando le giornate erano cortissime. Portava perennemente un abito scuro, elegantissimo e, nelle sue rare uscite, si recava nel rinomato ristorante “Snapps” a degustare il loro piatto forte, uno speziato agnello con patate. “Ma dell’intero Satyricon puoi dirmi qualcosa di più?” Chiesi tremante a Gunnar. “Non lo so, una folta sono entrattho nello sthudio di profesore e vidi da lontano un libbrone rilegato in cuoio marrone, sul quale lessi la scrita “Petronii Arbitri Satyricon integrum. Rotholandus Vamp. edidit Vindobonae, MDLXIII”. Per la gioia, cominciai a tremare ancora di più e pregai Gunnar di portarmi al più presto presso la magione del professore. Il mio amico mi rassicurò che avevamo un appuntamento la sera stessa, per cena.
Arrivò l’ora di cena e Gunnar mi venne a prendere in albergo e mi condusse a piedi fino all’elegante casa del professor Nosferatusson, che non era distante da Laugavegur. Era una villetta bianca dalle cui finestre si poteva già vedere parte della collezione libraria dell’esimio docente. Seguendo l’usanza nordica di porre oggetti, decorazioni o lampade ben visibili dalle finestre, Nosferatusson aveva posto alcuni dei suoi libri in bella vista dietro i vetri. Suonammo e ci aprì il domestico del padrone di casa: un uomo alto quasi due metri in una irreprensibile marsina scura che ci condusse fino in sala da pranzo, dopo averci preso i cappotti. Fu lì che incontrammo il professore che ci diede amichevolmente la mano dicendo: “Benfenuti in mia pofera macione, entrate liberamente e di fostra spontanea folontà. Sono molto lieto di fare fostra konoscienza, sinior Fan Stratten, il karo Gunnar mi ha parlato di foi e della fostra pasione per il Satirikon di Pethronio”. “Esimio professore” – dissi emozionato – “sono onorato di conoscerla e di avere il piacere di visitare la Vostra collezione di libri fra i quali si dice ci sia anche un’edizione completa del Satyricon”. “Akomodatefi a tafola, afremo okasione di parlarne a lungho!”. Detto questo il domestico ci fece sedere ai nostri posti. Il tavolo era avvolto nella semioscurità, solo un grande candeliere con tante candele accese si trovava al centro di esso. La portata principale consisteva in una rossissima zuppa di pomodori, seguita da merluzzo dell’Atlantico al pomodoro e da un Bloody Mary accompagnato da una ciambella ricoperta di rossa marmellata di rabarbaro.

Dopo cena il professore ci condusse in salotto, dove accese la sua lunga pipa nera e ci offrì delle pipe assai strane, il cui fornello aveva la forma di un teschio. Cominciammo quindi a fumare e la sala venne lentamente avvolta da un inebriante odore di tabacco al Latakia mentre fuori imperversava la gelida notte. Una volta finito di fumare, il professore ci portò nella biblioteca. Quale spettacolo si offrì allora ai miei occhi: libri antichi e rari erano ordinatamente conservati in eleganti e preziose librerie di legno e al posto d’onore si trovava il Satyricon. Nosferatusson mi fece indossare dei guanti di pelle per maneggiare il libro e con una emozione indicibile cominciai a sfogliarlo: era veramente tutto il Satyricon! Avidamente lessi qua e là, in pagine antichissime, e vidi le avventure di Encolpio e compagni che dalla Calabria – ove si interrompono le vicende del testo che tutt’oggi possediamo – si spostavano in Africa, in Egitto e in Turchia fino a raggiungere orienti incantati mai narrati da nessun romanzo antico. Il professore riprese il libro e lo appoggiò sullo scaffale dicendo: “Non fa manegiatho moltho, karo amiko, si potrebe danegiare per sempre! Sapiate che l’editore del libro, Rotholandus, era un mio karissimo amiko e kolega di studi di Vienna”. Com’era possibile che l’editore fosse amico del professore? – mi chiesi con stupore ed orrore – era un editore viennese del 1563, così almeno era scritto sulla costola del volume a caratteri dorati!
“Gente di pocha fede” – continuò il professore – “foi non sapere di qwella kredenza popolhare che fu messa in pratika durante medioefo, e ke io reputo una scientiffika via verso l’immortalità, per cui, sukiando sangue di altre persone, se ne traggono beneffici? Ma io non arrivare al kanibalismo, come era l’uso di molti popoli. Io bere e trarre ferro, emoglobina, plasma, sali minnerali, zukero e crasso per affrontare l’inverno d’Islanda. Kosì ucisi mio amiko editor mordendo suo kollo e lo trasformai in Vampiro e feci scrifere su libro suo epitheto (“Vamp.” sta per “vampiro”) e lui kontento per sua imortalità mi regalò il volume. Altri ne infilzai al kollo per afere qwesta bibliotheca. I miei canini sono una forketa a due puncte o due aghi uniti da due cannule e uno tira il sangue puro di artherie e l’altro qwello di vene, ke fa un po’ più skifo”.

Ecco la terribile e amara verità! Il professore era un vampiro! Che stupido che ero stato, anche un bambino si sarebbe accorto che dietro il nome Ratunosfes Nosferatusson si nascondeva un orribile succhiasangue! E adesso anche io e Gunnar potevamo cadere nelle sue grinfie! Dissi al mio amico che dovevamo scappare al più presto possibile da quella casa ma Gunnar rimase immobile e, anzi, si mosse minacciosamente verso di me mentre dalla sua bocca spuntavano due canini bianchi e prominenti. Com’era possibile?? anche Gunnar era un vampiro? Dietro di me si parò la sagoma nera del professore che disse: “Ah, ah, ah, mio nome fero è Nosferatu, il principe dela nocte! Cambiai mio nome in Nosferatusson (che, sekondo onomastika islandika significa “figlio di Nosferatu”) qwando mi sono trasferito in Islanda molti anni or zono! Kon mio krande piazere skoprii che vi era anke qwui un vampiro, il karo Gunnar ah ah!”. Insomma, adesso era tutto chiaro, il professore aveva usato Gunnar come esca per attirarmi fino in Islanda e cibarsi del mio sangue. Infatti, il sangue degli Islandesi non era di suo gradimento, a quanto pareva!
Il professore mi raccontò allora che Gunnar era in realtà un “draugr”, parola con la quale nelle saghe islandesi veniva indicato il revenant, il non morto, una sorta di equivalente del vampiro europeo. Gunnar non era altri che Glam, il guardiano che venne assunto da un possidente di nome Torhall per badare alle sue greggi di pecore. Queste notizie le ricaviamo dalla Saga di Grettir, dell’XI secolo, che compariva in una voluminosa raccolta nella biblioteca del professore. Glam accettò l’incarico ma durante la notte di Natale venne assalito dallo spirito maligno (il “meinvaettr”) e si trasformò in vampiro; da qual momento passava le sue notti a saltare sui tetti delle case terrorizzando gli abitanti del paese. Venne alfine ucciso dall’eroe Grettir, il quale gli tagliò la testa che venne gettata nel sepolcro insieme al suo corpo. Di più la saga non dice, ma probabilmente Nosferatu aveva trovato il modo di farlo resuscitare perennemente come un “non morto”.

“Non kredete, caro Fan Stratten, ke sia belissimo traskorere le infinite nocti islandesi a diskutere con me di lecteratura e di scientie filosoffike e a legere i miei libri antiki? Avrete anke la posibilità di legere il Satyricon nela sua intereza, opera ke nesuno ha mai lecto da epoca di Nerone imperattore”, disse in un sussurro Nosferatusson. No, non credevo che fosse una cosa bellissima; l’unico mio desiderio era tornarmene a casa sano e salvo e sfuggire alle grinfie dei due feroci vampiri. Ma mentre stavo per varcare la soglia della biblioteca e dirigermi alla porta d’ingresso, Gunnar e il professore mi furono addosso e mi morsero sul collo trasformandomi per sempre in un vampiro immortale, destinato a trascorrere la sua intera esistenza nelle tenebre più oscure.

Francesca Fiorentin e gvs

(Le notizie relative alla saga islandese di Grettir sono ricavate da T. Braccini, Prima di Dracula. Archeologia del vampiro, Il Mulino, Bologna, 2011, pp. 57-61).