Soggetti e Potere

Non si può morire di alternanza scuola-lavoro

La progressiva aziendalizzazione della scuola sembra un fenomeno apparentemente inarrestabile. Una vera accelerazione, in questo processo, è stata data dalla cosiddetta “Buona Scuola” di Renzi, una riforma che ha istituito, con la legge 107 del 2015, l’alternanza scuola-lavoro, obbligatoria per tutte le studentesse e gli studenti, licei compresi, degli ultimi tre anni delle scuole superiori. Dal 2019, l’alternanza scuola-lavoro è stata ribattezzata P.C.T.O., cioè “percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento”. Ora, basta leggere quest’ultima definizione e si ha subito un’idea di quanto si sia spinta in avanti la trasformazione in azienda di un’istituzione che, invece, col mondo aziendale e manageriale non dovrebbe proprio avere niente a che fare. Si era già osservato (Covid, il colpo di grazia per l’aziendalizzazione della scuola. Un’analisi linguistica) come a livello linguistico, nel mondo della scuola, accelerato anche dalle conseguenze disastrose dell’emergenza Covid nelle dinamiche dell’insegnamento, si fosse già ampiamente diffuso il cosiddetto aziendalese: un misto di gergo aziendale italiano e inglese, linguaggio burocratico e terminologia tecnologico-scientifica. Già le parole “competenze trasversali” odorano di azienda, di reificazione della cultura, come se, una volta finita la scuola, non ci fosse spazio per altro se non per un mondo del lavoro che si autoriproduce a ritmo continuo come uno zombie, fatto a immagine e somiglianza dell’universo capitalistico. Siamo arrivati all’uso iperbolico di quella “antilingua” di cui parlava Italo Calvino: un vero e proprio linguaggio burocratico-aziendale che uccide il significato delle parole e delle frasi.

La recente notizia della morte di uno studente della provincia di Udine durante uno stage di PCTO non arriva, purtroppo, come un fulmine a ciel sereno nell’universo del lavoro. L’Italia ha un triste record di morti sul lavoro, aumentato esponenzialmente nel corso del 2021. Quello che però è veramente inaccettabile e talmente tragico che non si dovrebbe nemmeno mai ascoltare, è che una morte sul lavoro coinvolga uno studente di 18 anni durante un percorso di alternanza scuola lavoro. Non solo il lavoro uccide, ma anche l’alternanza scuola-lavoro. La legge della “Buona Scuola” che introduce questi percorsi mira a reificare gli individui già nel loro percorso di crescita, a trasformarli in macchine perfette del lavoro, in “zombie” forgiati dalla catena di montaggio dell’universo capitalistico. Ma, quel che è peggio, è che li ‘zombifica’ in quello che dovrebbe essere il tempio del loro percorso educativo, della loro educazione sentimentale, della loro formazione e crescita, la scuola. La scuola dovrebbe essere un universo completamente diverso dalle aziende, dalle fabbriche, dalle corporation unicamente dominate dalla dimensione capitalistica. Anche le scuole più ‘tecniche’ dovrebbero essere improntate a uno scambio di cultura fra docenti e discenti puramente all’interno dell’universo scolastico. Anche le attività di natura pratica e tecnica dovrebbero essere lasciate esclusivamente in mano a un corpo docente specializzato nell’approcciarsi ai giovani e nel trasmettere il sapere, qualunque esso sia. Invece, i docenti, nella scuola-azienda, sono chiamati paradossalmente a svolgere più mansioni burocratiche che legate all’insegnamento in senso stretto. Un’educazione sentimentale e culturale e un percorso di crescita guidato dovrebbe avvenire esclusivamente all’interno della scuola.

Chi ha attuato queste riforme di sicuro non conosce l’etimologia della parola “scuola”, che deriva dal greco scholé, “ozio”, “divertimento”, “tempo libero” (ma la cultura classica, di sicuro, non è il loro forte). Non si tratta però di un ozio in senso negativo, bensì di un vero e proprio ‘ozio produttivo’, dedicato allo studio e alla conoscenza, anche di se stessi, quello che i romani indicavano con la parola otium che si opponeva al negotium, qualsiasi attività lavorativa. L’otium era un momento di riflessione che si poteva dedicare a se stessi, ai propri studi, ai propri interessi, un’attività che rientrava all’interno della techne tou biou dei Greci, cioè una vera e propria “cultura di sé”, un “aver cura di se stessi”, come rileva anche Michel Foucault in La cura di sé, terzo volume della sua Storia della sessualità. Non bisogna neppure dimenticare che la parola con cui nell’antica Roma si indicava la scuola è ludus, che significa anche “gioco”, “divertimento”. Le prime scuole pubbliche, che affiancavano i precettori privati delle famiglie più ricche, cominciarono a nascere nel II secolo a.C. quando Roma entrò in contatto con il mondo greco e, grazie soprattutto a intellettuali raffinati come gli Scipioni (riuniti nel cosiddetto “circolo degli Scipioni”), si diffuse il concetto di humanitas, un termine che, per i Romani, racchiudeva il senso di “educazione”, “formazione”, “cultura” fino ad allargarsi al campo semantico del “rispetto per gli altri”.

Sembra proprio che oggi l’humanitas sia un concetto vecchio e dimenticato. È veramente inaccettabile e tragico che uno studente perda la vita durante uno stage di alternanza scuola-lavoro. Aristotele, nella Poetica, scrive che neppure la tragedia più terribile deve riprodurre ciò che è “ripugnante”, miarón, perché sarebbe davvero insostenibile per gli spettatori. La notizia tragica relativa alla morte di uno studente in alternanza scuola-lavoro possiede in sé qualcosa di miarón, di ripugnante, ed è veramente qualcosa che non si dovrebbe mai ascoltare: è una tragedia irrappresentabile e inenarrabile che si è trasformata in realtà.

gvs

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