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“Ufo 78”: la narrazione dominante e quel “desiderio di altrove”

Ufo 78, il nuovo romanzo del collettivo Wu Ming, sembra attraversato e percorso da un dualismo, una dicotomia che si irradia attraverso le vene pulsanti dell’intera società italiana del 1978 (la vicenda si svolge tra il marzo e il maggio di quell’anno, periodo segnato dal sequestro Moro), affrescata con rara maestria. Da una parte c’è il “fuori”, la violenza, gli scontri, il rapimento di Aldo Moro, dall’altra il “dentro”, una dimensione più fantastica e intimista che prende vita intorno all’immaginario degli Ufo perché, come scrivono gli stessi autori, il 1978 fu anche “l’anno della «grande ondata»” dal momento che proprio in quel periodo si intensificarono in tutta Italia gli ‘avvistamenti’ di “oggetti volanti non identificati”. Quel “dentro”, quella dimensione intima e fantastica, molto probabilmente allora apparteneva anche a me, bambino di quattro anni perduto in eterni pomeriggi invernali di giochi nella propria stanza (solo pochissimi anni dopo in quei giochi sarebbero entrati anche astronavi pirata e robot giapponesi). E chissà se era proprio il 1978 quando, una sera d’estate, un’amica, che era venuta a trovarci a casa nostra, si rivolse a mia madre (secondo quanto lei mi raccontò più volte) con queste parole: “Non lasciare aperte le finestre della camera del bambino, di notte! Non hai paura che lo rapiscano gli Ufo?”.

Eppure – come afferma uno dei personaggi principali della storia, lo scrittore Martin Zanka, che assomiglia a François Truffaut, si occupa di paleoufologia e sul tema scrive romanzi fantastici di successo – la fuga nell’immaginazione non è una reazione alla violenza del “fuori” ma di quest’ultimo fa completamente parte. Zanka, infatti, controbatte al suo editore Paolo Pepper (secondo il quale le persone vedrebbero gli Ufo perché “le cose quaggiù fanno troppo schifo”) dicendo in sostanza che la fantasia visionaria del “dentro”, dopo il rapimento di Moro, è tragicamente esondata nel “fuori”: “Giorni di fantasticherie, leggende urbane e contagiosa mitomania, quest’ultima alimentata da un’informazione monotematica e dalla paranoia di Stato”. Non è più, però, quell’“immaginazione al potere” auspicata dal movimento del Sessantotto e poi dalla cultura underground del Settantasette, ma un’immaginazione del potere, creata su misura dagli organi di stampa e di informazione per dare voce a una vera e propria narrazione dominante, una visione unica. Mentre Zanka sta rientrando a casa sua, a Roma, infatti, “un’aria asfissiante aleggiava sulle strade e sull’intero Paese. Moro era rinchiuso da qualche parte, e insieme a lui tutti erano prigionieri di una realtà deformata”. Secondo la visione tetragona del potere, nelle trattative con le Br deve prevalere la linea della fermezza e le stesse lucide lettere di Moro, nelle quali lo statista accusa gli esponenti di quello stesso potere, vengono lette come gli sfoghi di un pazzo, di un visionario dalla mente alterata. Ecco che allora, quasi come un Ufo non volante, lo stesso Moro “veniva avvistato nelle circostanze più improbabili, spesso da solo e pienamente libero di muoversi”, perché “la politica e l’informazione ufficiale erano per la fermezza, ma l’inconscio collettivo sembrava auspicarsi la trattativa”.

Il romanzo di Wu Ming mostra un paese in preda a una visione unica, a una narrazione dominante, forse uno dei primi esempi di tentativo di uniformazione delle coscienze da parte dei media asserviti al potere. Perché, come affermò Pier Paolo Pasolini (citato più volte in Ufo 78) nella sua ultima intervista rilasciata a Furio Colombo, di fronte a questo asservimento delle coscienze, “non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra”. “L’inferno sta salendo da voi” – dice Pasolini il primo novembre del 1975 – con “la televisione e la pacatezza dei vostri giornali”: se nel 1978 questo inferno sembra essere già salito e avere già avvolto tutti, cosa si dovrebbe dire dei giorni nostri, in cui le narrazioni dominanti riemergono con sempre più frequenza, dall’emergenza Covid fino alla guerra in Ucraina? Anche in ogni circostanza di quest’ultimo, tragico evento, la narrazione dominante imposta dal potere e dai suoi asserviti media ha deciso dall’alto chi sono i buoni e chi, invece, i cattivi. Ma insieme a questa visione unica, il paese, forse per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, durante il periodo del sequestro Moro è stato sequestrato a sua volta, preda di uno stato di emergenza che si è allargato a dismisura fino a divenire una grande prigione: “Il Paese era in guerra, e parlare di diritti civili mentre si fa la guerra è roba da anime belle, da disfattisti, da disertori”. Per approfondire questo aspetto, Wu Ming dà voce a un personaggio del fantasioso Mater Materia, “un romanzo dello scrittore altoatesino Marco Felder (1975-2021), ambientato a Bolzano nei giorni del sequestro Moro”: “Lo stato d’emergenza passa sopra tutto e tutti. E chi ha qualcosa da obiettare, renitente a questa leva morale di massa, trova ad attenderlo il fuoco di fila di cecchini scelti, pronti a impallinarlo sui giornali, ad additarlo all’odio della gente «perbene»”. Una situazione che ci suona familiare e che abbiamo rivissuto nei giorni più cupi dell’emergenza Covid, la cui mala gestione italiana (oggetto di diversi lucidi articoli a firma degli stessi Wu Ming), fra vacuo patriottismo e retoriche belliche, ha tenuto sotto assedio per mesi un intero paese.

Certo, il romanzo non parla solo di questi temi ma, in qualità di romanzo-saggio e di “metaromanzo” (quasi un “UNO”, un “oggetto narrativo non identificato”, secondo una denominazione dello stesso Wu Ming 1), costruito come una sorta di inchiesta che dai giorni nostri si dirama a ritroso fino al 1978, sembra offrire molteplici allusioni a fenomeni politico-sociali contemporanei. Senza svelare troppo sulla trama, si può dire che dentro ci sono le vicende che ruotano attorno a Thanur, una comune in Lunigiana; c’è il favoloso monte Quarzerone, sempre in Lunigiana, noto luogo di avvistamenti alieni; ci sono gli ufofili; ci sono gli ufologi torinesi del “Grucat”, meravigliosamente affrescati con toni ironici; c’è la giovane antropologa Milena Cravero, che studia i comportamenti di ufologi e ufofili, questi ultimi meno ‘ufficiali’ e ingessati rispetto ai primi (e notevolmente più simpatici); infine, ci sono anche gruppi di fascisti che scorrazzano attraverso la Toscana (decisamente i più antipatici). E, a monte, la misteriosa scomparsa di due ragazzi scout, avvenuta proprio alle pendici del Quarzerone due anni prima, nel 1976.

In questo calderone sociale, oltretutto, come dice Milena Cravero, “c’è un desiderio di altrove. Altrove rispetto alle dicotomie, allo scontro tra Stato e Br, allo spettacolo degli schieramenti obbligatori, ai controlli soffocanti”. Un altrove, un’utopia. Sono parole che sembrano adattarsi anche alla contemporaneità ed è per questo che, tra le maglie del ‘78 narrato dai Wu Ming, intravedo un grande affresco della società contemporanea. Una società in cui ogni giorno, dai telegiornali ai social, assistiamo a un soffocante spettacolo di “schieramenti obbligatori”. Ma attenzione, l’altrove di cui si parla non è certo di carattere geografico. Si tratta bensì di un immaginario libero e liberato, alternativo e antagonista, pronto a dischiudere incantate vie di resistenza a tutto ciò che ci sta intorno: Ufo 78 appare davvero come uno degli scrigni magici che lo racchiude.

gvs

 

Wu Ming, Ufo 78, Einaudi, Torino, 2022, pp. 511, euro 21,00

 

"Ufo 78": la narrazione dominante e quel "desiderio di altrove" 2

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