Territorio

Considerazioni inattuali di un cittadino all’indomani delle elezioni livornesi

Ci sono state le elezioni: un momento per cambiare la gestione di quello che ci circonda; dovrebbe essere un’occasione per poter decidere di cambiarlo in meglio, dovrebbe essere così. Ora, non intendo fare commenti sulle elezioni o sul loro risultato, ma soltanto far emergere alcune considerazioni spontanee in merito a quel momento di cambiamento in meglio che ci auspichiamo esse possano costituire. Al di là di tutto, anche se non crediamo nel sistema democratico o nella rappresentatività, anche se pensiamo che sia tutto un baraccone mediatico per prenderci in giro, è fuor di dubbio che le elezioni rappresentano un importante momento di passaggio che si spera sempre sia da una situazione meno buona a una migliore (o meno peggio).

Ed ecco le considerazioni, libere e disordinate. Una sera, attraversando piazza della Repubblica, mi sono ritrovato a camminare in mezzo a un orrendo ghiaino e ho ripensato a molti anni fa, quando in quella piazza il sottoscritto faceva i giri sul carretto trainato dal ciuchino. Allora non c’era il ghiaino ma un mattonellato antico, semidistrutto. Se quelle mattonelle erano rovinate perché non rimettercele, anche in finto antico, come è avvenuto, ad esempio, in molte piazze di Pisa? Direte, sono solo cazzate rispetto ai problemi gravi della città, ma anche no. Trasformare una piazza storica in una specie di superstrada sfondata significa non avere rispetto per la città e per i suoi abitanti. Ora, io non so chi abbia deciso una cosa del genere e neanche mi importa. Quello che vorrei sottolineare è che dietro queste scelte ci sono delle elezioni, dei momenti di democrazia che sono stati creduti importanti per una transizione dal cattivo al buono, o dal buono al migliore. Elezioni che sono servite a non avere rispetto di noi, del nostro passaggio nella piazza, della nostra esistenza quotidiana in quella piazza. Ma tanto si dirà: è un luogo frequentato dagli immigrati, un luogo che segna il passaggio in una zona pericolosa per i livornesi. Pericolosa? Di chi crediamo che sia la colpa perché si pensa che sia (o che lo sia per davvero) una zona pericolosa? Di altre elezioni. Che non hanno fatto in modo che questi ‘immigrati’ si sentissero più integrati, che potessero vivere in un modo diverso, condividendo la loro quotidianità con i livornesi invece di ghettizzarsi. Ebbene, quelle zone cosiddette ‘pericolose’ sono fra le più belle della città e non si deve parlare di ‘riqualificazione’ (altrimenti ci avvicineremmo all’orrendo termine “bonifica” usato indifferentemente sia da De Luca che dalla Meloni): sono già ‘qualificate’, soltanto bisogna approcciarsi ad esse in modo diverso, e viverle in modo diverso. Senza divisioni, senza ghettizzazioni. La politica – e, a monte, le elezioni – possono fare tanto, se solo volessero. Gestire meglio un luogo significa favorire la qualità della vita degli abitanti, favorire avvicinamenti e ibridazioni fra diversi. Se un livornese della fine dell’Ottocento o dei primi del Novecento capitasse nella piazza della Repubblica o nella via de Larderel di oggi gli sembrerebbe di essere in un universo distopico, come in un film post-apocalittico in cui vediamo il mondo devastato e ridotto a un deserto. Altri scempi urbani sono sotto gli occhi di tutti: la distruzione di un muro antico in via dell’Ambrogiana (guardiamo in proposito questo interessante video), obbrobri architettonici che spuntano a casaccio, lavori e ristrutturazioni infinite manco si dovesse costruire il ponte sullo stretto di Messina.

In questa città, come non si sa gestire lo spazio urbano, non si sa gestire nemmeno quello naturale. Con troppa disinvoltura, in spazi pubblici e privati, si tagliano alberi e piante per i motivi più futili e disparati: perché danno noia alle auto parcheggiate, perché ondeggiano troppo al vento, perché sono ‘brutti’ ecc. Inutile ricordare che ogni volta che si taglia un albero si contribuisce alla distruzione e alla devastazione della nostra stessa esistenza. Dovremmo imparare dai paesi del nord Europa, in cui le aree verdi sono considerate come veri e propri spazi sacri e intoccabili. Mi piacerebbe una città in cui c’è più rispetto per le piante e per la vita in generale, ma a qualsiasi giunta, di sinistra di destra o di centro, importa assai più il tornaconto economico che sta dietro all’abbattimento delle aree verdi piuttosto che la loro preservazione. Se bisogna costruire un supermercato, un parcheggio o dare il via a nuove costruzioni, gli alberi saranno i primi a essere sacrificati. È proprio così utopistico trovare una giunta comunale che metta al primo posto il rispetto per la vita, per l’aria salubre, per la bellezza piuttosto che per il denaro? Evidentemente sì, e anche di questo bisogna dare la colpa alle elezioni.

A proposito della costruzione di parcheggi, ogni volta che passo davanti al cinema Odeon mi vengono i brividi a vederlo trasformato in un parcheggio. Odeon, Metropolitan, Gran Guardia: possibile che non sia stato possibile battersi per preservarli, per lasciarli intatti, invece di distruggerli? Anche la distruzione di questi cinema è stata un odioso crimine contro tutti i cittadini. L’Odeon, oltre che un cinema, era anche un bene architettonico di estrema importanza (che ha anche una pagina wikipedia dedicata: qui) ed è stato annientato come se niente fosse. Tutto per lasciare spazio al mostruoso multisala in periferia. C’è da vergognarsi soltanto a pensare di poter appartenere alle idee di quella o quelle giunte comunali che non hanno mosso un dito per salvare questi cinema intrisi di storia condivisa e personale, di momenti irripetibili, di atmosfere uniche inesorabilmente devastate.

E poi perché dare il via libera per la costruzione infinita di centri commerciali e supermercati, supermercati e centri commerciali, e basta? Distruggiamo i cinema e sulle loro macerie costruiamo centri commerciali: io mi sento proiettato in un film post-apocalittico ma come me – ne sono convinto – molti altri cittadini. Certo, costruire scuole (e ce ne sarebbe bisogno perché molte sono fatiscenti e non in grado di accogliere sempre nuovi studenti) o servizi pubblici non produce un immediato ritorno economico, ma un bel centro commerciale sì. Viviamo come in una sorta di anacronistico e spettrale doppio del tempo del boom economico (anni Cinquanta), quando si incentivava la costruzione di aziende e fabbriche nel privato a scapito dei beni pubblici. E le elezioni allora? Sono lì, a dimostrarci che ancora una volta, nonostante questo momento di democrazia diretta, le devastazioni della vita sociale e comunitaria, della salute e dell’ambiente stanno sempre in agguato sulle nostre teste. E poi, a proposito di devastazione della salute, cosa dire dell’infinità di navi da crociera che in ogni periodo dell’anno – ma soprattutto in quello estivo, che sta iniziando adesso – invade il porto a scapito della nostra salute? Cosa ci vorrebbe a regolamentare il traffico di queste navi o ad imporre dei sistemi anti-inquinamento ai loro motori? Penso che nessuno possa obiettare che dai fumaioli di queste gigantesche navi esca – lo vediamo tutti – del fumo tossico e inquinante. Se le giunte comunali pensano solo al denaro, al turismo, all’afflusso di turisti, è possibile che anche noi cittadini dobbiamo trascurare la nostra salute in nome del denaro, in nome dello sviluppo, in nome di fantomatici ‘posti di lavoro’?

Le elezioni ci sono state e, ripeto, non voglio fare commenti. Penso che possano essere veramente un momento di cambiamento se solo fossero veramente partecipate, se fossero un momento in cui ci si impegna davvero per dare una svolta a questo sistema, senza lasciarsi imbrigliare dal menefreghismo, dal qualunquismo e dal dire “tanto non servono a niente”. Servirebbero, ahimè, se se ne facesse un uso giusto. Ma se, guardandomi intorno, vedo tutto questo, vuol dire che sono state solo un inutile baraccone per far sì che tutto rimanga uguale. “Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”, diceva Tancredi, il nipote di don Fabrizio, principe di Salina, nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Qui, tutto rimane com’è e nulla cambia. Quanti come me non sopportano più la distruzione della cultura, del diritto allo studio, dei beni architettonici, della natura, della salute, per incrementare soltanto la sfera economica? Nessuno? Ma poi, importa forse a qualcuno tutto quello che ho detto?

Per Codice Rosso, un cittadino al di sopra di ogni sospetto

 

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